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Mine vaganti

Regia di Ferzan Özpetek vedi scheda film

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La recensione su Mine vaganti

di gerkota
7 stelle

Bugie e finzione. Fobia e omofobia. Moralismo. Un sud Italia (Puglia) odierno ma ancora saldato a un perbenismo soffocante. Fino a essere deprimente e, all’estremo, portare al suicidio. Una ricca famiglia allargata, in cui tutti hanno un ruolo ben definito e in qualche modo incisivo, finanche la signora delle pulizie. Le Mine vaganti di Ferzan Ozpetek sono due figli maschi gay, i loro amici che piombano all’improvviso in una casa in cui il terrore del pettegolezzo di paese è uno spettro che aleggia minaccioso in ogni ora della giornata e rischiano di rendere evidente ciò che è solo un velato, scacciato sospetto.

 

Il regista turco-italiano, per molti versi l’Almodóvar nostrano, realizza un film che non si avvicina all’eccellenza dell’autore ma che diverte o sgomenta e alla fine convince. Determinante in questa riuscita è, in particolare, la linearità del racconto filmato, colorato dalle consuete tinte accese tipiche del cineasta di Istanbul. A supporto c’è anche una sceneggiatura che regge, con dialoghi credibili a sufficienza anche se a tratti un po’ stentati nella recitazione dei pur tanti bravi attori raggruppati in questa occasione. Ozpetek è come al solito maestro nel non dimenticarsi di nessuno, di scolpire con minuzia quasi tutti i caratteri in campo. Con una riuscita quasi senza sbaffi, ottenuta in suoi cavalli di battaglia come Le fate ignoranti o Saturno contro.

 

Protagonista, anche se non proprio mattatore, è Riccardo Scamarcio. L’interprete pugliese di Andria, che il suo meglio lo diede nel 2007 sotto la direzione di Giovanni Veronesi in Mio fratello è figlio unico, alterna momenti di particolare brillantezza a passaggi a vuoto. Convincente e appassionato nel mostrare l’indole “da pazza” del buon Tommaso, un po’ mesto nel ruolo di pargolo devoto che si preoccupa fino alla fine di non intaccare la sensibilità retrograda dei genitori. In assoluto, stiamo ancora spettando che Scamarcio offra una prestazione che lo consacri e lo metta allo stesso livello dei nostri migliori attori.

 

A dare spinta, con un misto di dramma e comicità, è un Ennio Fantastichini piuttosto ispirato. Il suo padre forte-debole è l’emblema del puritanesimo omofobico non tanto congenito quanto indotto dal terrore della condanna e dello scherno che possono giungere dal di fuori del nucleo familiare. Al suo fianco funziona Lunetta Savino, anche lei carattere ferreo che però ha tante fragilità cui rendere conto. Molto brava Ilaria Occhini nelle vesti della nonna. Il suo è il personaggio nobile della casa, fusione di classe e saggezza, modernità nella vecchiaia, mosca bianca dal cuore infranto, tra persone che dai suoi messaggi e sentenze non sono in grado di assorbire un bel niente. Regalano personaggi azzeccati anche Elena Sofia Ricci, zia svampita e alcolizzata e l’innamorata-rassegnata Nicole Grimaudo. Troppo sacrificato Alessandro Preziosi, convincente nei panni dell’omosessuale che decide di non nascondersi, ma con pochi minuti a disposizione nell’arco di questa pellicola ozpetekiana.

 

Commedia a tinte amare, financo tragiche. Ma anche divertente. Da vedere, voto 7.

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