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Dieci inverni

Regia di Valerio Mieli vedi scheda film

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La recensione su Dieci inverni

di leporello
8 stelle

Tra i meriti della sceneggiatura, va dato quello di aver saputo subito disinnescare la mina vagante della scelta dei nomi dei due protagonisti: non che tutti, in Italia, debbano chiamarsi per forza “Paolo” o “Anna”, ma non è nemmeno da tutti i giorni che si incontrino, per caso, due che si chiamino contemporaneamente una Camilla e l’altro Silvestro

E così una delle prime tra le tante belle e pregevoli battute del film, c’è proprio quella dei due che, per la prima volta a letto insieme: “Ma davvero ti piace il nome Camilla?” “No. Lo dicevo così per dire”, e lei, girandosi seccata: “Seehh, sarà bello il tuo, di nome..” .

Si presentano subito i due personaggi protagonisti del film, subito a nudo uno di fronte all’altro, nella scena del piccolo scherzo sul vaporetto: una grossa, seriosa lampada a piede e una scanzonata pianta defogliata con tre pomodori a penzoloni che si incontrano, che cercano di incontrarsi.

 

Ci metteranno, appunto, dieci inverni. E dieci a me è parsa un’unita di misura ottimale,  ben calibrata. Qualcuno l’ha trovata forse esagerata, ma a sostegno di questa lunga maratona ci sono due personaggi tanto diversi per cui il dosaggio e l’amalgama richiedono il loro giusto tempo. D’altronde, la ricetta è ottimamente sostenuta e insaporita dai dialoghi, facili laddove si indovina subito  l’ingresso di un personaggio come quello maschile interpretato da Michele Riondino , disarmante nelle  battute innocenti e intrensicamente irriverenti che rivolge all’altra. Isabella Ragonese  è invece il volto giusto per Camilla, slavista, che, come fa una mattinata di sole dopo una nevicata a Mosca,  si mostra sempre più bella, fuori e dentro, man mano che il gelo si scioglie.

E i dieci inverni passano a volte fatti solo di incroci mancati, altri invece di vite intere vissute nello spazio di pochi mesi, grandi amori mentali (il soprannome di “Bakukkof” appioppato da Silvestro all’amante drammaturgo russo di lei è da memorizzare…), figli improvvisi e “sbagliati” (“faccio solo cazzate” dirà lei parlando a lui in uno dei suoi riassunti di vita),  brani di (sana) sit-com in quegli appartamenti (spagnoli?) dove si incontano, ignari prodromi dell’insana genia dei grandi fratelli, gli studenti universitari a Venezia.

La co-partecipazione russa alla produzione di questo film, che già si fregia di una Venezia “altra” rispetto non solo a quella delle cartoline, ma anche a quella di tanto altro cinema girato sin’ora sulla laguna, ci porta anche un po’ in giro per Mosca e in alcuni dei suoi luoghi più suggestivi (la passeggiata al cimitero innevato….).

La chicca di uno (al solito stonatissimo) Capossela da’ infine il giusto risalto ad un commento musicale a mio parere azzeccato.

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