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Dieci inverni

Regia di Valerio Mieli vedi scheda film

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La recensione su Dieci inverni

di LorCio
8 stelle

È raro vedere un film sentimentale di questi tempi così delicato e coinvolgente. Un amore, il film di Gianluca Maria Tavarelli di dieci anni fa, aveva un’idea analoga: una storia d’amore sviluppata attraverso un largo arco di tempo, focalizzando l’attenzione su determinati momenti. Dieci inverni sono, appunto, i vari attimi che Valerio Mieli coglie della storia d’amore tra Camilla, che va a studiare slavistica a Venezia, e Silvestro, che conosce la ragazza tenendo in mano uno striminzito alberello con dei pomodorini finti appesi. Malinconico come sa essere il mare con la nebbia della Venezia invernale (qualche rimando figurativo involontario della pittura di Monet, delle atmosfere di Visconti o Zurlini), questo dolce racconto di un amore che non sa essere tormentato perché vissuto sottovoce e a corrente alternata (una volta è lui a rincorrerla, poi lei, poi ancora lui, e alla fine lei) è un film sulle ragioni del tempo. Basandosi sul concetto della corrispondenza d’amorosi sensi, è uno stato d’animo in forma cinematografica in cui la fotografia (di Marco Onorato, ispiratissimo) gioca un ruolo fondamentale nella descrizione dei due personaggi principali (lodevole come Mieli riesca a inquadrare perfettamente i due protagonisti, dando vita ad un coro mai invadente, sempre tenue) e la scelta dei luoghi non può che considerarsi perfetta: non solo la Venezia suggestiva dei freddi inverni, la Venezia più nascosta e poetica, non commercializzata (la casetta semi-baracca in cui abita Camilla, il terrazzone dell’ospedale, qualche canale sconosciuto, un cimitero di barche), ma anche una Mosca affettuosamente gelida, in cui l’incomunicabilità regna sia linguisticamente che emotivamente.

 

Non è un melodramma in senso classico: eppure in Dieci inverni ci sono le inquietudini universali dell’animo giovanile raccontate con un realismo che va al di là della normalità del cinema italiano, ed è un film molto riuscito proprio perché si spinge oltre la banalità dei film contemporanei. Personaggi quasi naif e al contempo quietamente normali, Silvestro e Camilla sono identificabili perfettamente con le esperienze di ognuno di noi: lui è il ragazzo che pur provandoci (e riuscendoci) con molte ragazze (come la traduttrice russa) resta legato alla possibilità dell’amore con lei fino alla fine; lei è la ragazza sognatrice, che crede di essere appagata legandosi sentimentalmente ad un uomo potente (un regista russo che le fa portare le parrucche, perché “non sai quante cose si imparano a portare le parrucche”), apparentemente tosta e decisa ma in realtà fragile. Soffrono di incomunicabilità, non si capiscono mai, vivono nell’incertezza del futuro. Un film sottile che manda messaggi precisi ed assoluti evitando le trappole della retorica e della ovvietà, parlando a tutti con estrema semplicità, serena eleganza, deliziosa armonia. C’è una sequenza bellissima in cui Silvestro e Camilla ballano mentre Vinicio Capossela canta la stupenda Parla piano. Un bellissimo esordio, impreziosito dalle prove di Isabella Ragonese e Michele Riondino, sublimi.

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