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L'uomo nero

Regia di Sergio Rubini vedi scheda film

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La recensione su L'uomo nero

di Ewan
4 stelle

Puglia, anni ‘60. Ernesto Rossetti (Sergio Rubini) di professione fa il capostazione ma la sua passione più grande è la pittura, che pratica come attività di svago, incompreso a casa dalla moglie Franca (Valeria Golino) e dal paesello intero, che vede in lui un illuso. L’unico a supportarlo in questa suo amore artistico è il figlioletto Gabriele (Guido Giaquinto), che un giorno lo accompagna a Bari dove è esposto il famoso Autoritratto con bombetta di Cezanne, artista a cui Ernesto si ispira. Sarà quella la molla che spingerà l’uomo a cercare di affermarsi, preparando una mostra nella quale il pezzo forte sarà proprio la sua riproduzione del capolavoro di Cezanne.

Il Sergio Rubini autore è sempre da tenere d’occhio. La sua terra, la Puglia, è sempre grande protagonista dei suoi affreschi migliori e le sue storie godono spesso di ampio respiro. Può capitare però, come in L’uomo nero, che l’amalgama non riesca alla perfezione, seppur i toni del film siano giusti e gli attori siano perfettamente in parte.Qualcosa stona. Stona la solita retorica del ritorno alle radici, della “critica alla critica” che non lascia esprimere la vera arte. Stona l’ormai abusata visuale a portata di bambino. Stonano gli inserti onirici che appesantiscono il film pur richiamando il tema portante della storia. Stonano le insopportabili musiche di Nicola Piovani (premio Oscar, ricordo… per chi se lo fosse giustamente dimenticato), che sono così uguali a quelle di tutti gli ultimi film di Benigni da farci pensare che siano i suoi scarti. Stona il fatto che il “colpo di scena” finale si scopra in realtà più o menomezz’ora prima. E stona, ma questa non è colpa di Rubini ma soltanto una tremenda sfiga, che il film sia uscito quando nelle nostre menti è ancora fresca la magniloquenza visiva di Baaria, a cui L’uomo nero assomiglia troppo nei colori, nei set (pur in minori proporzioni, s’intende), nelle vicende, negli intenti.

Resta nella memoria l’ottima caratterizzazione di Riccardo Scamarcio nei panni del donnaiuolo zio Pinuccio, idolo del bambino e di tutte le donne del paese, che dona al suo personaggio una freschezza straordinaria.

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