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L'uomo che verrà

Regia di Giorgio Diritti vedi scheda film

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La recensione su L'uomo che verrà

di montelaura
10 stelle

C'è un parco, unico nel suo genere, sugli Appennini bolognesi.
E' sprofondato in un silenzio sovrannaturale, accentuato dal frusciare delle fronde degli alberi e dal frinire incessante delle cicale.
Pare un luogo fatato, immobile e remoto, cristallizzato in un tempo lontano, una sorta di muta cattedrale a cielo aperto.
Una cattedrale di oltre 6300 ettari in cui riposano le vite, le speranze, i sogni umili delle vittime dell'eccidio nazifascista comunemente conosciuto come "Strage di Marzabotto".
Dista poche decine di chilometri da casa mia, e forse per questo non posso giudicare obiettivamente questo film (sempre che sia possibile giudicare qualcosa con obiettività). I miei nonni e i miei genitori parlano quasi lo stesso dialetto dei personaggi di questo film. E le vicende dei miei avi sono assai simili alle loro. Forse per tutti questi motivi non sono la persona più adatta a commentare un film del genere.
Il coinvolgimento è stato totale.
E le armi al servizio di Diritti non erano molte, e alcune avrebbero potuto rivelarsi a doppio taglio.
Rischioso, a parer mio, adottare il punto di vista di un bambino: perchè si rischia quasi sempre di scivolare nel nostalgico-sdolcinato, o nella lacrima facile. In questo film non c'è nulla di melenso, nè di facile.
Ammirevole è la cura antropologica che Diritti mette nella rievocazione di un'epoca, dei suoi usi e costumi, oltre che del linguaggio. Nella prima parte del film ti fa entrare nel cascinale di una famiglia contadina, ti fa vivere tra loro, condividere il loro semplice cibo, le loro afflizioni, i loro affanni, le loro piccole gioie quotidiane. Ti affezioni a queste persone, le senti un po' come dei parenti tuoi, e soffri già per loro, perchè sai già come la storia finirà.
Il secondo tempo è un lungo calvario, una sofferenza continua. Segui le persone che hai imparato ad amare nei loro inutili tentativi di sfuggire ad un destino più grande di loro. L'eccidio vero e proprio, quando si compie, è quasi appena accennato, senza violenze gratuite, senza abbondanti spargimenti di sangue, con la fotografia desaturata a quasi un bianco e nero.
E perciò fa ancora più male.
E dura a lungo, perchè sono stati CINQUE i giorni di massacro che hanno cancellato dalla faccia della terra almeno tre villaggi sul Monte Sole.
E quando arrivi al termine di tutto questo dolore, non c'è un finale compiacente, non c'è nessuna possibile lieta fine... tranne che quella lieve, flebile della speranza che vagisce in mezzo al caos della distruzione.
Altro pericolo scampato da Diritti è quello di cadere in difficili dispute politiche, o in stereotipi sgradevoli. In questo film non ci sono nè vincitori nè vinti, nè santi nè eroi. In ciò è molto simile al dittico di Eastwood su Iwo Jima: far vedere che il nemico è anche un essere umano, e che l'alleato può essere barbaro. L'occhio lucido e diretto della piccola protagonista vede la realtà per quella che è, lontano da sentimentalismi o ideologie politiche: uccidere è sempre brutto e insensato, e basta. Così come la guerra, da qualunque parte tu ti batta, è un abominio in cui "gli unici vincitori sono quelli che riescono a sopravvivere".
Sul Monte Sole non hanno vinto in molti...
Si può leggere su un cippo del parco:
“Il 29 settembre 1944 un’ampia fascia di territorio compresa fra i fiumi Reno e Setta nei Comuni di Marzabotto, Grizzana, Monzuno, venne circondata dall’esercito tedesco e da truppe speciali delle SS e fatta oggetto del più grande massacro di civili perpetrato nell’Europa occidentale durante la seconda guerra mondiale. Nell’eccidio di Monte Sole (la cima della zona che oggi per estensione designa l’intera area), più noto come eccidio di Marzabotto (il comune più colpito) morirono 770 persone.
Le comunità insediate a Monte sole da secoli, famiglie di piccoli proprietari e mezzadri, sparse in casolari e borghi, vennero cancellate in pochi giorni. A S.Martino,Casaglia, San Giovanni di Sotto, Cerpiano, e in molti altri nuclei abitativi di crinale, la vita cessò del tutto.”

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