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Lebanon

Regia di Samuel Maoz vedi scheda film

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La recensione su Lebanon

di giancarlo visitilli
10 stelle

Negli anni Sessanta Pier Paolo Pasolini realizzò lo straordinario film La terra vista dalla luna. Raccontava le avventure donchisciottesche e del viaggio di Ciancicato Miao e di suo figlio Baciù, tra miserie, sfortune, vita e morte. Nel 2009, il regista israeliano Samuel Maoz, realizza un film che ha molte attinenze con quello di Pasolini: la vita e la morte, la fuga e il terrore di quel che avverrà. E se nel primo c’era la poesia della vita, in quest’ultimo é evidente la tragicità di una scelta. ‘La guerra vista da un carro armato’ é la storia dell’ottimo film Lebanon, vincitore del Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia 2009.

Il racconto é quello tristemente vero della guerra tra Israele e Libano, nel giugno 1982. Fra i tanti combattenti, quattro ragazzi ebrei inesperti, rinchiusi in un carro armato: Shmulik l’artigliere, Assi il capocarro, Hertzel il servente e Yigal il pilota. Hanno un compito difficile, devono perlustrare una città nemica, bombardata dalle truppe israeliane. In fondo, si tratta di “una passeggiata”, come la definisce il durissimo luogotenente Jamil. Non ci sarà tempo da perdere, perché prestissimo la situazione e la vita sfuggirà di mano allo stesso comandante. Infatti, il carro armato si ritroverà isolato in una trappola mortale.

Neanche la discesa agli inferi dantesca spaventa, come invece accade in questo preziosissimo film, che non è solo un film sulla guerra. E’ un film sul cinema e sulle sue responsabilità: cosa far vedere, su cosa puntare l’attenzione e da quale punto di vista, soprattutto? Qui tutto è girato da un occhio attento all’impercettibile, nascosto nel buio e nel tanfo della guerra. Tranne qualche raro controcampo, il carro armato funge da vera e propria camera oscura, con tanto di macchina da proiezione (il mirino mobile). E si è pubblico noi spettatori e l’artigliere, all’interno del carro, perché per entrambi la visione è sempre più parziale, le reazioni sempre più abbondanti e grondanti paura e rabbia. Lebanon è un film che non si dimentica, come ogni guerra. Possiede delle potenziali scene che fanno male quanto le ferite irachene, iraniane, afghane, rwandesi, ecc: lo strazio della donna a cui hanno ucciso sua figlia, il capitano che aiuta il prigioniero siriano a urinare, tutto all’interno di un carro-loculo, in cui dall’inizio alla fine, tutto è presagio di morte. Gli odori, le sensazioni e le situazioni, ma anche la claustrante visione. Spettatori e attori si è insieme ai soldati, con i piedi a mollo nella loro stessa immondizia, fra le lattine di birra vuote, cicche di sigarette e sangue di compagni feriti. Si trema con loro, si suda per loro e il vomito sale, insieme alla voglia di scappare via dalla sala. Ma perché correre ed evitare di guardare l’orrore nella sua vera espressione? Con il puntatore si spara, ci si ammazza, con la speranza che domani, si possa tornare a casa e ritornare a sentire l’odore dei cedri del Libano.

Samuel Maoz é stato capace di raccontare la guerra senza filtri, senza censure e in tutto il suo splendore terrificante. Un film che rientrerà fra quelli che nella storia del cinema lasciano un segno importante, alla pari di Apocalypse now, No man’s land e pochi altri. Ma solo nella storia del cinema, perchè la storia degli uomini va avanti da sé, con gli stessi orrori, tempi e visioni.

Giancarlo Visitilli

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