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Inception

Regia di Christopher Nolan vedi scheda film

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La recensione su Inception

di LorCio
8 stelle

Alla fine dell’inquietante, ansiogena, contorta visione dell’ultima fatica (in tutti i sensi) di Christopher Nolan, ho cercato di ricordarmi se ci fossero stati altri film del genere. Intendiamoci, un film così raramente può trovare simili. Non solo per la stupefacente messinscena visiva, per la macchinazione di effetti speciali e l’evidente impianto tecnico di altissimo mestiere. Inception è, dopotutto, una grande opera di artigianato dell’immagine, l’encomio e la celebrazione dell’architettura come arte-forma mentis, un gioco ambiguo di paradossi alla Escher tra scale infinite e false conclusioni. Ma, tornando al quesito iniziale, quali altri film possono avere nella propria natura di menzogne dell’invenzione i semi di una storia come Inception? Non me ne vengono in mente. Ecco, forse solo L’anno scorso a Marienbad. Cosa possono avere in comune la (già post)novelle vague più cerebrale di Alain Resnais con il perfetto, ordinato e perverso caos di Nolan?

 

L’idea di fondo che il cinema non può essere verità, che è l’inganno delle illusioni ed il suo verbo è l’immaginazione. Ci mette poco quel furbacchione di Nolan a farci credere che sia tutto più o meno plausibile. Ma può essere plausibile la storia di un tizio sbucato dal nulla (Leonardo DiCaprio è sempre più l’ultimo attore classico del cinema americano) che di mestiere fa il ladro di sogni, incaricato da un magnate giapponese di praticare un innesto nella mente del rivale in affari? L’obiettivo che muove l’azione è becero. Tutto il resto no, va al di là. È indubbio che qua e là esageri: a volte si ha quasi l’impressione che Inception sia troppo. È un po’ un grande zibaldone di generi e tendenze: c’è l’azione data dalla caccia all’uomo (agli uomini – alle proiezioni?), c’è il thriller con sparatorie e morti ammazzati, c’è lo spionaggio del subinconscio, c’è il dramma umano, c’è pure il mèlo di due-corpi-una-sola-anima che non vogliono e non possono dividersi ma devono lasciarsi, c’è persino un tocco di commedia nelle zuffe linguistiche fra due elementi della squadra.

 

Sì, è troppo. Troppi sono pure i cavilli e le sottigliezze, i sofismi e gli intrighi. Ma, come dire, ci stanno. Col cavolo che vi vado a raccontare la trama, dato che uno dei gusti principali di uno spettatore di Inception dovrebbe essere divertirsi a ritrovare tutti i tasselli che costituiscono il puzzle della allucinante struttura narrativa, composta da cinque (!) livelli, in cui non si capisce mai fino in fondo quale sia il limbo (parola chiave) tra realtà (quale?) e sogno (troppi?). Si potrebbe stare a disquisire le ore, ci scommetto qualunque cosa che organizzeranno convegni di filosofia e psicanalisi per starne a ciarlare le ore. Ma forse è meglio non parlarne ancora. Una sola cosa è certa: non ascolterò più No, je ne regrette rien con tranquillità. Che poi, Marion Cottilard, la moglie perduta di DiCaprio, non aveva vinto l’Oscar grazie al biopic su Edith Piaf? Che mal di testa.

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