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Diary of the Dead. Le cronache dei morti viventi

Regia di George A. Romero vedi scheda film

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La recensione su Diary of the Dead. Le cronache dei morti viventi

di Texano98
8 stelle

Una mosca come un morto che torna in vita, tutto può passare davanti all'obiettivo di una telecamera. Quello sguardo senza giudizio, che assume valore solo grazie all'occhio di un umano. Cosa accade però quando quell'occhio precipita dentro quello della telecamera? Dove va a finire l'umanità, dove trasvola il nostro giudizio? Dopo l'apocalisse, dopo che i morti sono tornati in vita, ci sarà qualcuno capace di afferrare l'orrore delle immagini? Ci sarà qualcuno in grado di comprenderle, o diverranno solo un cumulo di attimi senza senso? E' il cervello umano (vivente) a decriptare questa serie di significati inconsci, viene così da chiedersi se le spietate critiche a quest'opera di Romero siano dovute alla sua oggettiva scarsità oppure alla mancata comprensione da parte degli spettatori (zombie?).

Chiariamoci, il found footage è un grande dilemma, io rimango dell'idea che il cinema puro sarà sempre una sequenza d'inquadrature orchestrate da un narratore onniscente rispetto alla vicenda mostrata. Certo, il film di Romero adotta una serie di trucchi per dissimulare questa tecnica, giustificando la propria scelta con una profondità di contenuti sconosciuta a tutti gli altri emuli di turno. Lo sguardo voyeur di questi filmati-fiume montati sapientemente fra loro, costruendo una narrazione in piena regola, rende l'apocalisse zombie più inquietante che mai. Il peso d'essere di minuto in minuto superstiti su un pianeta con sempre meno viventi e sempre più morti è angosciante; testimoni al capolinea dell'umanità, increduli davanti al caos che ha mandato in fumo ogni valore, corrosi all'interno dalla mancanza di sicurezze. Anche il racconto diventa inutile quando non ci sarà nessuno a cui tramandarlo. Bisogna aggrapparsi con ogni forza al proprio cervello, per sempre unico referente a cui ci si possa affidare. Unico captatore della realtà circostante, così prezioso ma al tempo stesso così fragile, sempre in bilico sopra al nulla, pronto a portarci dove la realtà cessa insieme alla coscienza di questo mondo. Questo grande sasso solcato dalla fine della razza umana.

Dall'altro lato, Romero supera l'alienazione dello sguardo, va oltre, abbatte la veridicità di ogni media, mette in discussione non solo la razionalità ma anche la freddezza delle immagini; il "vero" si perde fra ammassi di istanti, fra pezzi di storia impressi su un hard disk, esistenti solo perché un uomo-macchina s'è preso la briga d'immortalarli, forse per caso, fra un avvenimento sconvolgente e l'altro. E' tutta un'illusione, appare più che mai evidente ora che i giochi sono terminati. Non esisteva nulla per cui valesse la pena vivere quando la società sopravviveva mordendosi, non esiste nulla per cui valga la pena morire ora che al mondo non esiste altro che morte. Tanti animali impazziti, liberi, dispersi, sadici oppure apatici, due termini in fondo non così diversi. E' un gioco che l'umanità credeva avere regole, ora che appare evidente la sua anarchia però non rimane molto tempo per svagarsi. Chissà quale sarà l'ultimo pensiero dell'ultimo pensante rimasto al mondo, magari prima d'essere divorato dalla propria amata o di spararsi un colpo in fronte. E dopo quell'attimo, anche l'ultimo sguardo umano sulla realtà scomparirà per sempre. Una piccola pagina di storia dell'universo che nessuno potrà mai comprendere; libri, documenti, filmati, pensieri, un grande buco nero senza interlocutore alcuno.

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