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Cella 211

Regia di Daniel Monzón vedi scheda film

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La recensione su Cella 211

di jonas
8 stelle

“Non fidarti mai di nessuno e non scordare da che parte stai”, sono le raccomandazioni impartite al nuovo secondino che deve prendere servizio l’indomani: le ore successive si incaricheranno di dare un nuovo senso a quelle parole, scombussolando imprevedibilmente le carte in tavola. In apparenza è un film carcerario, con atmosfere da thriller e con venature melodrammatiche (suggestivi i brevi flashback che riassumono la vita che si è conclusa quella mattina, e che sembra già così lontana). In realtà, come il coevo Il profeta, è la storia di un’educazione criminale, con la piccola differenza che il protagonista non è un delinquentello ma un tutore dell’ordine: capisce nel giro di pochi minuti cosa deve fare per sopravvivere, impara non solo a confondersi con il nemico ma anche a pensare come lui, insomma riesce a tirare fuori il peggio di sé; ma al di sopra di lui, nell’amministrazione del carcere come nei palazzi della politica, qualcuno ha ben presente la differenza fra chi deve essere protetto per convenienza e chi può diventare una pedina sacrificabile. C’è qualche (perdonabile) inverosimiglianza nella concatenazione dei fatti: il gregario conquista subito la fiducia del leader, sua moglie è l’unica fra i manifestanti a rimanere uccisa.

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