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Cella 211

Regia di Daniel Monzón vedi scheda film

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La recensione su Cella 211

di superficie 213
9 stelle

Negli anni molti sono stati i film che hanno messo al centro del racconto il "mondo" carcerario ; si passa senza soluzione di continuita' da classici come Fuga da Alcatraz , Papillon , Brubaker , Le Ali della Liberta'  a veri e propri filmacci  come  Sorvegliato Speciale con Stallone.
Era difficile quindi mettere in scena una storia ambientata in carcere che avesse dalla sua originalita' e soprattutto solidita' di narrazione e che non ricordasse troppo i "precedenti" appena citati.
Il giovane regista Daniele Monzon - con alle spalle al suo attivo solo un buon thriller in salsa sci-fi  , "The Kovak Box" , distrubuto da noi solo in dvd  - adatta - anche come sceneggiatore - un bel romanzo di Francisco Perez Gandul e riesce nell'arduo compito di girare un film carcerario solido , politcamente tosto e con tanti punti a suo favore.
Sin dalle prime battute si nota la perfezione della fotografia - di Carles Gusi - , l'efficacia dei dialoghi , mai lambiccati e sempre realistici e la tecnica precisa di Monzon nello studio dell'inquadratura.
Impossibile poi resistere alla tensione che la pellicola lentamente crea attorno al suo personaggio principale ed al capo della rivolta interna del penitenziario , Malamadre - un eccelso  Luis Tosar che lo interpreta con forza e senza una minima sbavatura  -  un carattere che difficilmente verra' dimenticato e  che entra di diritto nella storia del genere.
Monzon poi gira perfettamente , alternando un montaggio semi-realistico a sequenze piene zeppe di ricerca visiva e non lesina critche feroci alle forze dell'ordine - estrene ed interne al carcere -  buone solo a reprimere ed a picchiare senza ritegno , ai politici che sprecano chiacchere ma che si muovono solo quando sono con l'acqua alla gola ed esclusivamente per il proprio tornaconto.
Ai venduti dello stato, ai mercenari della violenza allora Monzon preferisce i derelitti del carcere , cattivi si , violenti si , ma con un animo ben  definito , nei quali pero' non puo' che germogliare la pianta del tradimento che portera' la giusta rivolta dei prigionieri - che non ne possono piu' di essere rinchiusi in un metro per due e che cercano di ottenere solo una vita meno da animali... - fino alla tragedia finale che si abbattera' su tutto e tutti.
Impossibile poi non entrare nella testa di Juan - un eccellente Alberto Ammann - che per sbaglio si trova a dover fiancheggiare chi nella realta' avrebbe dovuto controllare e che lentamente trova , proprio in questi "compagni" di rivolta ,  persone pronte a capirlo e difenderlo.
Un personaggio quello di Juan che riflette il mondo in cui viviamo : un essere umano usato , spremuto e buttato via dalle "istituzioni" quando piu' non serve o quando addirittura non diviene un ostacolo al raggiungimento di piani pre-costruiti per le istituzioni stesse.
Per il regista il mondo carcerario e' identico a quello esterno , viviamo in una gabbia , repressi e senza neanche avere la forza di ribellarci - o quando questo avviene il sistema di "repressione" e' il solito all'interno della galera come fuori -, contenti di credere di essere liberi quando nella realta' dei fatti non lo siamo.
Il male e' attorno a noi , si sta diffondendo  e porta una divisa od un completo firmato.

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