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Aiuto vampiro

Regia di Paul Weitz vedi scheda film

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La recensione su Aiuto vampiro

di scapigliato
10 stelle

Dimenticatevi Harry Potter e i vampiri menosi della Twilight Saga o tutti i fantasy psedu-orrorifici di taglio teeny che sono stati sfornati in questi ultimi dieci anni, perchè con Paul Weitz e Brian Helgeland alla guida del carrozzone barocco di Darren Shan è finalmente arrivato in città un film fatto con la qualità e lo spessore che la settima arte richiede.

Certo, convogliare in un unico film due libri significa comunque fare dei passi rischiosi nel cammino della sceneggiatura, che non fa per nulla acqua da tutte le parti e si permette bruschi salti narrativi che a conti fatti non ci fanno restare con un pugno di mosche in mano a chiederci come mai si è arrività qui, o a lamentarci che il passaggio è troppo veloce, la scena troppo affettata, i personaggi troppo stereotipati. No, nulla di tutto questo. Non è un film di introspezione psicologica, se no sarebbe un film di Ingmar Bergman o di Abel Ferrara. Ma allo stesso tempo non è uno dei tanti e troppo filmetti “giovanilistici” conditi con il fantasy, i vampiri, l’emo-gothic e i disadattati da prime-time che stanno seriamente compromettento l’immaginario giovanile di questo inizio millennio. Tutta colpa di High School Musical che ha dato potere ai teenagers inserendoli pericolosamente non solo nello star-system – dove già c’erano fin dalle origini - ma soprattutto nelle trame economico-religiose del potere sociale. Era il 2006 e dalla purity-opera della Disney è nato un vero e proprio filone di produzioni esteticamente e contenutisticamente improntate sulla disciplina e la moralità wasp che tanto cinema e tv precedenti avevano cercato in tutti i modi di mettere nell’angolo. In più questa nuova tendenza dei “giovani, belli e fisicati” si unisce alla risemantizzazione in negativo, alla snaturalizzazione del genere fantasy ed horror che già con il 2001 di Harry Potter aveva subíto una brusca sterzata al dissenso infantile tramutandolo in tranquillo nerdismo controllabile e governabile. Così, sia sul piano estetico – linguaggio cinematografico, qualità della regia e delle interpretazioni, spessore e letterrarietà dei testi e dei dialoghi, etc. – sia sul piano dei contenuti – moralità, timor di dio, buonismo a go go – il cinema adolescenziale e giovanile che con Roger Corman aveva iniziato a combattere per una propria emancipazione intellettuale (sì, anche gli adolescenti possono pensare e cambiare le cose), è oggi un’accozzaglia di lobotomizzazioni cinematografiche – con poche eccezioni – che appunto mettono in pericolo la salute mentale dei ragazzi e il loro ruolo civile e sociale.

Con Aiuto Vampiro invece le cose cambiano. Innanzitutto l’aspetto linguistico è fondamentale. Si sa: la forma è il contenuto. Paul Weitz, buon mestierante, sa giocare con l’espressionismo che questa storia gli suggerisce. Infatti gioca con accelerazioni o rallenty senza farcele pesare, così come i tagli secchi di cesoia al montaggio di alcune scene per dare tono e tensione. Inutile dire come giochi con la set decoration, con le luci e con gli attori e i loro volti. In aiuto gli vengono sicuramente tutti i freaks che popolano il circo di Lartern & company, il cui bellissimo lavoro in lattice conferma come il digitale sia utile per ben poche cose, mentre la plasticità del lattice, del lavoro sul pro-filmico e non sul filmico, siano sempre e comunque preferibili. In più gli attori. Alcuni sono nomi grossi, altri lo diventeranno, mentre altri ancora sono per lo più sconosciuti, ma abilissimi caratteristi di mestiere. Fumettisticamente parlando il più riuscito è Mr. Tiny, una specie di incrocio tra Penguin e King Pink di Batman, con tutto uno spessore proprio, un personaggio fumettistico, quindi stereotipato per definizione, ma che sa avere la propria personalità attraverso i gesti e la consapevolezza dell’attore, Michael Cerveris, oltre che alle definizioni già presenti nella più che buona sceneggiatura. Ma la scena è tutta per il vampiro Larten, John C. Really, da non confondersi con il buon Colm Meany, vampiro trasandato, pacifista, democratico, disinteressato alla guerra e all’accumulo di capitale, quasi un Billy the Kid del gotico. Personaggio di statura fumettistica più che letteraria, certo, ma che cinematograficamente sa prendersi il suo spazio nell’arena dei vampiri di celluloide. O almeno tra quelli declinati alla commedia e al grottesco. Come lui, tra i mostriciattoli del circo degli orrori c’è Ken Watanabe, Salma Hayek, l’ex-quasi-nuovo-Spider-Man Patrick Fugit (speravo fosse lui il prossimo Peter Parker), Willem Defoe e il sempre sulle righe Orlando Jones. Più ovviamente i tanti personaggi secondari che arricchiscono grottescamente il panorama dei freaks, compreso un Uomo Lupo che si gratta le palle e che uomo non lo diventa mai.

Ma gli occhi cadono su Chris Massoglia. Classe ’92, pochi film all’attivo, tra cui un altro horror giovanile fatto con le palle a firma del maestro Joe Dante, ma già con l’impeto del ragazzo che sa di non essere solo bellino-belloccio. Visto in lingua originale il film permette di stupirsi davanti alla modulazione tonale di Massoglia, molto vicina al mimetico. Un ragazzino acqua e sapone che trasuda erotismo in ognuna delle sue azioni: la bellezza di un’età ambigua aperta su un mondo ambiguo. Nonostante l’aspetto da bravo ragazzo americano, Massoglia riesce a non esserlo. Riesce a portare il suo personaggio là dove la storia vuole, complice la bravura di tutto il cast artistico e tecnico, certo, ma senza la sua personale adesione al personaggio il trucco non l’avremmo visto. É lui il ragazzo ribelle che molla casa e genitori per diventare un mezzo vampiro, anche se non per riottosità al sistema, almeno non direttamente, ma per salvare la pelle al suo miglior amico che poi diventerà la sua nemesi giurata. E qui il film tocca un altro dei suoi aspetti migliori. Come in Unbreackable di Shyamalan assistiamo alla nascista di un cattivo e alla sua sempre difficile esegesi. Perché esistono i cattivi? Perché le narrazioni non ne possono fare a meno? Perché? Senza spiegarlo teoricamente, il film semplicemente ce lo illustra portandoci fuori dalla caverna platonica. Pardòn, dal tendone del circo.

La ribellione di Massoglia, che è Darren Shan, fa il paio con quella più politica del personaggio di John C. Really, ma sempre di antagonismo sociale si parla. Da un lato, e il film discorsivamente ce lo fa vedere subito, l’oppressione del codice borghese – bella famiglia, sorriso di ceramica, bei voti a scuola, un buon lavoro, tanti soldi e un posto in paradiso; dall’altro il rifiuto della guerra come carneficina di uomini, il rifiuto delle consuetudini di casta – Lartner non vuole uccidere e succhiare il sangue alle sue vittime come tutti gli altri vampiri. I due infatti senza dirlo ad alta voce si cercano per tutto l’arco del film, e si vogliono a tutti i costi perché sanno di completarsi, quasi a giustificarne una rilettura omoerotica che farebbe da controaltare alla tensione sempre omoerotica che spinge all’azione, all’odio e all’amore e ancora all’odio i due ragazzini amici per la pelle. Josh Hutcherson, nei panni di Steve, con all’attivo più pellicole del giovane collega, è infatti la nemesi giurata che va sviluppandosi durante la vicenda condensata dei primi due libri di Darren Shan. E molti sono i segni di tale omoerotismo sotterraneo, uno su tutti, il vampirismo stesso. Senza entrare nel merito il vampiro è sempre stato visto come il seduttore, il demone della carne e della sessualità, la libido incontrollabile e liberata trasgressivamente. Musa ispiratrice di molti poeti maledetti il vampiro ritorna, benchè in un film che è pur sempre per ragazzi quindi con dei limiti nel proprio immaginario perturbante, ritorna comunque non spersonalizzato come in Twilight e non neutralizzato delle sue più ambigue tensioni come in tanti altri film anche prettamente horror dell’ultimo decennio. Infatti, oggi l’horror è sempre più un action-movie muscolare che adotta le icone del genere per giocarci senza una coscienza autoriale invece che essere il perturbante e insidioso mostro che sta sotto il letto.

A conti fatti quindi, tra la grande capacità tecnico-artistca di tecnici e attori, e i sottotesti più o meno espliciti che il film suggerisce, dal dissenso giovanile alle pulsioni omoerotiche, dalla preferenza per i mostri pacifici (democratici) al posto di quelli guerrafondai (repubblicani), quest’amore per il diverso che va a rompere la tranquillità borghese della sonnelenta cittadina americana è davvero il segnale che i film per ragazzi dovrebbero dare. Scorretti, vivaci, lontani anni luce dal buonismo e dalla retorica, e soprattutto capaci di dire al ragazzo: “non ti uniformare, vai coi mostri!”. E così il bel Massoglia da figlio prediletto e amico di tutti i fighi della scuola (come governo federale e Bibbia vorrebbero) finisce con la ragazza scimmia che mentre lo bacia alza rigida la coda...

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