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Cosmonauta

Regia di Susanna Nicchiarelli vedi scheda film

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La recensione su Cosmonauta

di ROTOTOM
8 stelle

Nel 1957 Luciana ha nove anni, scappa dalla cerimonia della prima comunione e si barrica in bagno. Istruita a dovere dal fratello più grande, Arturo ammalato di epilessia e appassionato delle imprese spaziali dell’Unione Sovietica, Luciana si professa, con malcelato disappunto della madre, comunista. Comunista come il padre, morto senza il conforto del funerale perché vero militante che per i compagni della piccola sezione del Trullo borgata di Roma, è assurto a mito del rione.

Luciana è affascinata da Laika la cagnetta lanciata nello spazio dai russi alla quale pensa con malinconia

1963 Luciana è un’adolescente inquieta, entra nella sezione giovanile del Pci del Trullo, cresce con le conquiste dei cosmonauti russi e sogna di cambiare il mondo ma la giovane età e la confusione ormonale-politica la fa sbandare pericolosamente tra i ragazzi della sezione. E questo tra Compagni non si fa……

I russi mandano nello spazio un cane, un uomo e una donna. Ma la Luna la vincono gli americani e con essa la supremazia sulle cose terrestri. 1957 – 1969 in questa ellissi temporale senza osso e senza astronave è narrata la storia di Luciana, ammalata di Russia per osmosi da Arturo, il  fratello picchiatello che guarda in alto e si perde. Luciana e Arturo sdraiati sul tetto di un palazzo con il sogno di volare via, in assenza di gravità verso l’isola che non ci sarà più, ma questo ancora non lo sanno, sogno spazzato via dalla risolutezza degli Stati Uniti e dei suoi astronauti contro l’atavico vorrei ma non posso che storicamente connota la parte rossa del cielo ( prima di scolorire in variegate declinazioni cromatiche tra arcobaleni e oniriche aurore boreali senza identità) e  dei suoi romantici cosmonauti.

La leggerezza del tocco di Susanna Nicchiarelli si posa come un velo su una terra aspra e selvaggia, tumultuosa di problematiche sociali mai risolte come la borgata del Trullo di Roma. Leggerezza di scrittura, di regia e forma applicata a materiali pesanti tenuti sospesi quasi in assenza di gravità, senza le esasperazioni antropologiche del ritratto del borgataro pasoliniano ne’ la retorica virata in chiave politica del periodo storico.

Non è neppure l’operazione carina del nostalgico quando eravamo meglio  proprio di certe opere revival che sfiorano l’ucronia perché allora non si stava affatto meglio e di carino non ce n’è poi così tanto, anzi i personaggi sfiorano la sgradevolezza barcollando tra l’iperbole del sogno massificatore comunista e l’interesse personale, piccole meschinità e l’esercizio di fettine di potere. Il grande disegno d’uguaglianza cosmico (i cosmonauti russi trasportano nella navicella l’ingombrante metafora dell’ideologia comunista: nello spazio in assenza di gravità tutti hanno lo stesso peso) si frantuma già nella parcellizzazione della piccola sezione comunista del Trullo nella quale tra tutti i Compagni c’è qualcuno che è più Compagno di altri.

Pregio di Cosmonauta è di non ammorbare con le intime paturnie autobiografiche minimaliste che spesso gli ego troppo cresciuti riversano nelle opere prime. Al tempo della storia Susanna Nicchiarelli non era ancora nata e la consapevole artificiosità della messa in scena inframmezzata da filmati originali dei supereroi comunisti nello spazio, crea un ibrido a tratti surreale in cui ciò che – presumibilmente – era ha già nella languida pacatezza del racconto la consapevolezza di come poi effettivamente andrà.

Un equilibrio fragile che prende carne  nella presenza di Marisa interpretata dalla stessa regista, che porta negli occhi il peso delle sconfitte personali e la devozione rassegnata alle cose del partito. A questo contesto di trasformazione sociale, ad un passo dalla vittoria che avrebbe segnato – forse  - la supremazia dell’ideologia comunista, si contrappone l’educazione sentimentale di Luciana, rabbiosa e individualista suo malgrado, ruvida nei modi e ribelle verso l’opportunistica virata borghese della madre Rosalba, vedova di un comunista duro e puro agilmente dimenticato ma mitizzato dai Compagni di partito. Luciana prende ciò che le serve, il corpo reclama il predominio sulle razionalità militanti, il sesso irrompe e spacca la coesione, modifica gli assetti, sovverte gli equilibri. I comunisti cambieranno il mondo, soprattutto il suo. E’ il sogno collettivo che tiene in orbita i cosmonauti, la necessità individuale di formarsi una propria identità li tira giù.

Dallo spazio alle miserie delle cose quotidiane, Cosmonauta è un continuo, divertito rimbalzare tra concretezza e sogno, reale e ideale, cosmo e terra, un sistematico ribadire e smentirsi che vira il riso in drammatico, mischiando poi il tutto in un unico sapore più agro che dolce. In questo senso il film non sembra affatto un’opera prima, la maturità della scrittura e i sottotesti che le immagini suggeriscono quasi con pudore sono propri di una precisa identità artistica composta di tratteggio fine e ironia. E mestiere. Le canzoni degli anni ’60 riarrangiate in chiave moderna ribadiscono il rifiuto dell’effetto nostalgia in favore di un’allegoria verosimile; “Ottobre” di Sergej M. Ejzenstejn imprescindibile manifesto del cinema russo a rischio giudizio di fantozziana memoria; Arturo ammalato di epilessia che fallito il lancio del rudimentale razzo fatto di cerini fugge “in orizzontale” liberandosi dalla gravità della famiglia che non lascia scampo ai sognatori come lui. La precisa ricostruzione d’epoca è affidata alle pettinature, agli abiti, la scenografia degli interni – micidiale la calligrafica pesantezza della scarna sezione di partito con la gigantografia di Lenin alla parete che sa di fumo di sigarette macerato al chiuso, castrante cineclub con dibattito e muffa d’autocritica -   e alle inquadrature strette sui personaggi perché i film storici non si fanno coi fichi secchi. Poi una chiusa sospesa, silenziosa, l’atterraggio sulla fine di un’epoca che non è mai iniziata.

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