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Videocracy. Basta apparire

Regia di Erik Gandini vedi scheda film

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La recensione su Videocracy. Basta apparire

di mc 5
10 stelle

C'è una domanda ricorrente che circola in rete. Io stesso, quando mi capita di intervenire in un forum in cui si dibatte della strapotere (ecomico, politico, mediatico) del nostro premier, non posso non constatare che, quando si arriva al dunque, si sbatte inevitabilmente la testa contro la domanda delle domande: "Come si è potuti arrivare a questo punto?". Ecco. La pellicola firmata da Erik Gandini ha la funzione -precisa precisa- di dare una risposta a questo quesito. E ci riesce benissimo. Perchè va al cuore del problema e, attraverso una serie di immagini che parlano da sole, si arriva a toccare il nervo scoperto. Questo è un film NECESSARIO. Al di là della tecnica che pure -in ambito di inchiesta/documentario- è eccellente, quello che conta è l'aver messo il dito nella piaga, andando a sviscerare gli aspetti che contano. Una marea di dati, volti, personaggi, situazioni, che scorrono sullo schermo, come tasselli di un'unica agghiacciante realtà: quella di un uomo in delirio che, pur essendo il più ricco e potente d'Italia, non fa che lamentarsi con ossessività di essere "accerchiato" da un nemico che lo vuole eliminare. E' inutile adesso stare qui a ripetere le solite cose che, pur conformi alla realtà, rischiano di apparire luoghi comuni, tipo quello di un povero ometto che è padrone o controllore delle idee di quasi tutta la stampa italiana e di quasi tutte le reti televisive nazionali. Vogliamo entrare nello specifico della carta stampata? Facciamolo. Le due riviste più vendute d'italia sono pubblicate dalla sua casa editrice (di cui una è un magazine molto autorevole sul piano dell'attualità politica e vanta come opinionisti fior di esponenti o simpatizzanti del PDL). Quanto ai quotidiani, due sono notoriamente gestiti da un paio di direttori-killer pagati apposta per "sodomizzare" qualunque ostacolo si frapponga sul loro cammino. Ma sarebbe gravissimo dimenticare che, se escludiamo "Repubblica" e i tre quotidiani politici di sinistra che sono ogni settimana a rischio di chiusura per enormi problemi di bilancio, tutti gli altri giornali sono diretti da "amici affettuosi" che portano acqua al mulino del Cavaliere, tipo P.G. Battista vicedirettore del Corriere della Sera. Nella mia regione, poi, il quotidiano più venduto è "Il Resto del Carlino" il cui editore è culo e camicia col Cavaliere e fra i cui editorialisti brillano alcuni senatori e deputati del PDL. Chiedo scusa per questo lungo excursus ma era necessario dal momento che "lui" non fa che parlare di "stampa ostile" (balla colossale). Quanto poi al panorama televisivo, beh, è perfino sciocco descriverlo, tanto è sotto gli occhi di tutti: basta dare un'occhiata ai nomi dei direttori di rete e dei telegiornali. Tornando al film, è un susseguirsi incalzante di immagini così eloquenti che non avrebbero nemmeno bisogno del commento sonoro, praticamente un flusso ininterrotto di notizie i cui toni principali vanno dal paradossale al grottesco passando per l'assurdo-straniante. Vediamo dunque sfilare un'Italia di autentici "freak", di mostri (questi sono i veri "NUOVI MOSTRI", altro che "commedia all'italiana" !!!), i quali hanno scelto di individuare in quest'uomo della Provvidenza il guru che cambierà le loro esistenze. Osserviamo quindi un poveraccio sfigatissimo che fa l'operaio e vorrebbe svoltare (toh, ma chi l'avrebbe mai detto) nel mondo dello spettacolo, ma in realtà non fa che accumulare ogni giorno frustrazione su frustrazione. Poi vediamo una mandria di troiette sgallettate (senza offesa, ma l'input visivo primario che se ne percepisce è quello) che vedono un mondo fatto solo di "immagine" come unica strada praticabile per uscire dalla mediocrità. Usavo prima il termine "mostri". E come altro definire quella signora inquietante che ci viene presentata come "vicina di villa di Berlusconi in Sardegna"? Ascoltare i discorsi (peraltro enunciati con grande seriosità e rigore) che fa costei è una roba che non sai se ridere o piangere. Poi, ancora, abbiamo il regista del Grande Fratello (e di altri programmi "glam" targati Mediaset) il quale ci spiega (ma qualcosa lo avevamo già intuito da soli...) la linea artistica prescelta per "gasare" lo spettatore a casa, vale a dire grandi tette, grandi culi, e tanta figa. Naturalmente non poteva mancare una puntatina sostanziosa all'interno della realtà del "Billionaire", dove assistiamo a scene che sembrano appartenere ad un "mondo a parte". Ed è proprio questo. Quello non è il mondo come noi lo conosciamo, è un mondo dove chi è ricco deve "per forza" o "per logica" spendere e farsi vedere in QUEL luogo. Da questo non si scappa. E infatti chi è ricco e famoso, a qualsiasi titolo lo sia diventato (attori, calciatori, politici, veline: non importa) DEVE farsi vedere al Billionaire. Figuratevi che tra i nomi citati in una rassegna veloce che viene enunciata di ospiti celebri del locale appaiono anche Blair e (!) Denzel Washington. Ricco e famoso? Allora avanti, entri pure. E che goda, goda, goda...(con Briatore che osserva sornione, anche lui -va da sè- amicone intimo del premier). Ma al di là di questi burattini squallidi, la cosa che più sconvolge è vedere il pullulare continuo di questa moltitudine di persone comuni, vacanzieri qualsiasi, che stazionano per ore nei pressi delle ville sarde dei VIP, nella speranza di beccarne uno, per scambiarci magari una battuta, sibilargli un "ti adoro" o un "sei grande". Ma la voce fuori campo del regista ci avverte che non è mai accaduto, giacchè il filtro protettivo che separa questi minchioni goderecci dal "paese reale" è rigidissimo ed esclude ogni contatto con quegli sfigati "là fuori". Il regista poi, ogni tanto, quasi come contrappunto alle immagini di questo "universo", ci mostra brevi intermezzi tratti da discutibili apparizioni ufficiali del premier, nelle quali non fa altro che lodarsi e imbrodarsi e -soprattutto- gridare ai pericoli del comunismo. Di quale comunismo si tratti non ci è dato sapere, anche perchè a molti di noi esso risulta estinto da anni. A meno che con questo termine si voglia ancora definire il regime imposto da quell'altro affettuoso amico del premier che si chiama Putin. Ma ciò che "spettacolarizza"  definitivamente il film, e che le recensioni più pongono in evidenza, sono in realtà i due ritratti che il regista ci fa di Lele Mora e di Fabrizio Corona. E qua -credetemi- non esistono parole per descrivere il cervello, il cuore, l'attitudine, la personalità, la forma mentale, la cultura, di questi due "soggetti". Per misurare l'incredibile materia di cui questi due "signori" sono fatti, dovete per forza vedere il film. E dopo la visione, l'unico aggettivo che troverete per esprimervi su di loro sarà "inaudito". E se in giro, nella vita vera o in rete, vi dovreste imbattere -a proposito di questo film- in qualcuno che (tipo la vergognosa recensione apparsa sul sito "Film Up") nicchia o fa spallucce affermando che "questo film non serve a niente, dice le solite cose che sapevamo già, che poi tanto ognuno resta della sua idea", beh, se qualcuno farà di questi commenti, state pur certi che si tratta di persone che -sotto sotto- per il Cavaliere qualche simpatia ce l'hanno, anche se non hanno il coraggio di confessarlo apertamente. Sequenza finale. Il sottoscritto, finita la proiezione, esce dalla sala, sono le 18,00 di un sabato pomeriggio, e il sole è ancora sufficientemente alto da illuminare splendidamente la città. Attraverso a piedi il centro per portarmi alla fermata dell'autobus. Mi guardo intorno mentre cammino. Vedo una moltitudine di giovani che fanno le "vasche". Tante ragazzotte (molte delle quali suppongo minorenni) conciate come tante vispe mignottelle, tutte smaniose di mostrare la maglietta "come va adesso" e i pantaloncini super corti che permettano l'appetitosa (per i maschietti) visione della "coscialunga". E con esse altrettanti ragazzotti, molti dei quali coi volti atteggiati ad un ghigno indecifrabile, ma quasi tutti accomunati da fisici palestrati, tatuati e piercingati. E c'è stato un preciso istante in cui m'è parso di realizzare quali fossero i modelli per quei giovani e dove si collocassero i loro punti di riferimento. E, salendo su un autobus fortunatamente non troppo affollato, mi chiedevo se i danni prodotti, nella cultura e nella società, da decenni di televisione commerciale fossero ormai davvero irreversibili. Era solo una domanda retorica? Nel dubbio, ho preferito pensare ad altro.
Voto: 10 

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