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La doppia ora

Regia di Giuseppe Capotondi vedi scheda film

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La recensione su La doppia ora

di mc 5
10 stelle

Gran bel debutto nel lungometraggio, quello di  Giuseppe Capotondi, con un film inconsueto per il panorama italiano. La casa di produzione, la Indigo Film, è la stessa del pluripremiato "Il Divo", ma è soprattutto la stessa di un altro film assimilabile -se parliamo di generi- a quello in questione, "La ragazza del lago" di Molaioli. Ma rispetto a quest'ultimo lavoro siamo a livelli qualitativi molto superiori. Ricordo infatti che "La ragazza del lago", seppure lodato da quasi tutta la critica e premiato anche dal pubblico, non mi aveva affatto convinto per quel suo evidente eccesso di minimalismo. Trattasi, in quel caso come in questo, di "giallo" e di mistero, ma stavolta, vivaddio, senza nessuna traccia di minimalismo inconcludente. Questa volta la Indigo Film ha prodotto un "giallo" coi controfiocchi, opera insolitamente matura ed intrigante per un debutto italiano. Due i punti di forza: una sceneggiatura che trasuda mistero e ambiguità, e poi due attori protagonisti entusiasmanti. Vabbè, a dire cose egregie di Filippo Timi e Ksenia Rappoport si scopre l'acqua calda, ma la loro strepitosa bravura va comunque assolutamente ribadita. Chi segue questi miei tentativi di recensioni, sa che quando prendo in simpatia degli attori, tendo a sviscerarne l'essenza e la personalità, in tutti i modi in cui la "rete" me lo consente, e dunque mi scateno alla ricerca sul web di interviste, dichiarazioni e quant'altro, insomma tutto quanto mi permetta di ricostruire cosa c'è dietro la "faccia" di un attore. E questo è accaduto puntualmente anche per Filippo e Ksenia (vedete? li chiamo perfino per nome, come fossero vecchi amici...che cialtrone che sono!). Di Filippo Timi ho già argomentato in sede di altre recensioni, evidenziando il coraggio e la tenacia di quest'uomo che per diventare apprezzatissimo attore ha dovuto combattere (e ancora sta duramente combattendo) contro un paio di handicap fisici incombenti piuttosto fastidiosi (ha seri problemi di vista e una balbuzie lo affligge da anni senza pietà). Sarà anche per questo che Filippo mi sta da sempre istintivamente simpatico. Quanto a Ksenia Rappoport, quando la vidi per la prima volta nel tormentatissimo (e difficile!) ruolo della "Sconosciuta" di Tornatore, fu subito colpo di fulmine. Mi innamorai senza ritegno di quella ragazza dell'Est, elegante e fiera, ma al contempo delicata e fragile, che debuttava da noi (dopo una consistente gavetta teatrale nella sua Russia) con un ruolo assai impegnativo che ne determinò l'affermazione presso la critica italiana e le procurò buona notorietà fra il nostro pubblico. In particolare conservo con affetto il ricordo di una sua partecipazione televisiva ai tempi dell'uscita del suo primo film. Era ospite del programma "Cinematografo" e ricordo che era emozionatissima e talmente ancora incredula dell'esito positivo dell'opera di Tornatore, che non riusciva a trattenere lacrime di gioia. Lei è fatta così: umile e piena di talento, uno splendore di donna. E dopo questo duplice tributo di stima che qualcuno troverà eccessivo ma a cui non potevo proprio rinunciare, torniamo allo specifico del film. Un film a proposito del quale, per raccontarlo senza sfiorare lo spoiler, è come camminare su un campo minato. Sì, perchè la storia si basa su una realtà estremamente ambigua, in quanto frutto di continui ribaltamenti di prospettiva, al punto che sintetizzarla in poche righe diventa piuttosto complesso. E quanto appena detto implica, per inciso, un complimento ai due sceneggiatori (tali Fabbri e Rampoldi), di cui non so nulla tranne che hanno lavorato davvero bene: trame così intelligenti e ben congegnate si trovano molto di rado in un film italiano. Qualcuno potrebbe osservare che in fondo non è altro che una fiction da thriller psicologico, ma io ribadisco che si tratta di merce rara per la cinematografia nazionale (e per di più anche un' opera prima!). L'incipit è fulminante, con un suicidio che ti stronca. E poi si entra nella vicenda, in modo subito intrigante. Lo scenario iniziale è infatti uno di quei locali dove si organizzano incontri "al buio" per cercare l'anima gemella. Due sconosciuti s'incontrano. Nasce una relazione piena di promesse. Ma dopo pochi giorni, nei quali la tensione amorosa si fa sempre più coinvolgente per entrambi, accade un evento drammatico (che non svelerò). E questo non è che il prologo di una vicenda che si segue con curiosità crescente. Perchè crescente è il clima di minacciosa ambiguità che fa prigioniero lo spettatore, lo incatena. Si arriva a un punto che -complice la caduta in coma della protagonista- la realtà si sovverte e poi si sovverte una seconda volta, e a quel momento lo spettatore non sa più che pesci pigliare. Ma fra quelle realtà le contaminazioni sono più d'una e....il resto scopritelo da soli al cinema, che ne vale la pena. Una piccola segnalazione finale. Nel cast fanno capolino, in ruoli secondari ma determinanti, due giovani attori: Gaetano Bruno (il capo di una gang) e Antonia Truppo (la cameriera giovane collega, e confidente, della protagonista): li ho citati perchè sono due volti piuttosto ricorrenti nel nuovo cinema italiano e perchè provengono entrambi dal teatro di ricerca, da un teatro importante. Concludendo. Un ottimo giallo ma anche -e soprattutto- la storia dell'incontro di due enormi solitudini alla ricerca di un riscatto. E bravo Capotondi, che ci hai risparmiato "l'operina minimale", e ci hai sfoderato un thriller psicologico insinuante, intrigante e tutto fuorchè banale. Con Hitchcock e Polanski come probabili riferimenti: non male. Adesso però pretendiamo un'opera seconda all'altezza.
Voto: 9/10

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