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Invictus. L'invincibile

Regia di Clint Eastwood vedi scheda film

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La recensione su Invictus. L'invincibile

di LAMPUR
4 stelle

Potremmo esordire col classico: ma chi era il consulente di rugby di Clint?

Perchè come già successo col pugilato in Million dollar baby, lo sport, uno sport (e premetto che non nutro particolari simpatie né per il pugilato né per il rugby), viene strumentalizzato e ridotto ad una mischia continua sudata e sanguinolenta e col sonoro sottolineato, debole espediente,  su ogni scontro di gioco come tra tir in collisone… .

E potremmo farla finita qui.

 Ma vogliamo andare oltre, perché per quanto massicciamente presente nel film, questa pantomima di rugby, è alla fine solo abile movente politico (sottolineato più volte dallo stesso Mandela) per accelerare, con avveduta strategia, l’armonia razziale, primo vero passo per la rinascita di un paese dilaniato dai soprusi e con una evidente asincronia sul resto del mondo, ad iniziare da quella sportiva.

La presenza del nero Chester (apparentemente coccolato dai compagni, nel film) tra i bianchissimi Springboks, ad esempio, non ci viene affatto spiegata: attorno agli anni ottanta la nazionale afrikaner era stata fatta fuori dalle competizioni internazionali proprio per colpa di quell’apartheid che marchiava il Sudafrica agli occhi del mondo.

Ci voleva almeno un nero in squadra per aprirsi internazionalmente, anche se mal visto e mal sopportato, pur trattandosi di indubbio fenomeno.

 

Ho apprezzato tuttavia, il ritratto di un grande Mandela, l’esaltazione del perdono in uno di quei personaggi che, per fare la Storia , devono dimostrare di  dover e saper guardare oltre.

Oltre le vendette, oltre le facili ripicche.

Quei personaggi che devono mettere in pratica un - in fondo umanissimo -,   pur traendo linfa da radici cristiane:

“non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”.

 

Il resto del film banalizza a volontà… troppo veloce l’intermezzo negli slums con i primi contatti neri/afrikaner, cabarettistico l’impatto multicolore della scorta personale, fin troppe le macchiette disegnate a contorno…

Voglio poi sorvolare sulle scene comico-thrilling del film, come il presunto camioncino attentatore che vediamo ad inizio pellicola durante la passeggiata mattutina del neo presidente Mandela o, peggio ancora, la scena dell’aereo di linea che vorrebbe minacciare lo stadio della Finale di Coppa del Mondo. Una barzelletta da cinema di quarta serie…chi gliele scrive al buon Clint? Spero qualcun altro perché se è roba sua siamo veramente alla frutta… e tralascio anche lo sfasato Matt Damon, steroidato per l’occasione ma mai filmato in un’azione di gioco degna di questo nome (cosi come quasi incapace di autoformularsi un’idea sensata sul suo compito – ad esclusione della visita alla ex cella di Mandela – oltre a  trasmetterlo meccanicamente a compagni e familiari,  eccetto alla fine, quando ribatterà a quell’acido di giornalista menagramo: “Non erano in 63 mila a sostenerci ma in 43 milioni”.

Alleluia!... esclameremo allora… c’è arrivato anche lui!

 

Qualcuno avrà avvertito la differenza tra le reali foto dell’escalation di Coppa sventagliate sui titoli di coda ed il rugby scimmiottato messo in scena per l’occasione.

Una per tutte l’indegna rappresentazione della haka maori, rituale e complessa danza d’incitamento degli All Blacks, suggestivo prologo di ogni loro partita: bè, per qualche tempo sì è visto uno spot in Italia dove l’haka era interpretata da giovani ragazze e comuni  casalinghe, con l’intento di esaltare lo spirito combattivo e di sacrificio della donna.

Era più impressionante quella...  

 

Insomma. Senza Chester niente Coppa del Mondo. E niente film. Diteglielo a Clint.

(perché Madiba lo sapeva…).

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