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Lo spazio bianco

Regia di Francesca Comencini vedi scheda film

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La recensione su Lo spazio bianco

di giancarlo visitilli
8 stelle

Il bianco, quasi mai, é assenza o vuoto. In esso ci può stare una maternità inconsapevole, l’idea di nascere, sopravvivere o morire. Ci può stare pure la via crucis della fecondazione assistita. Ma anche l’aborto. Una nascita prematura e l’incognita di quello che avverrà. Si può colorare tutto di nero, all’improvviso.

Bellissimo il nuovo film di Francesca Comencini, tratto dall’omonimo romanzo di Valeria Parrella. Un manifesto della maternità, che vede, appunto, protagoniste due donne. Una madre e sua figlia, che esce dal suo corpo prima del tempo e che vede svilupparsi non nel suo utero, ma in una incubatrice che lo sostituisce. La madre, incubata anch’essa, sente, ascolta, vive nell’angoscia della monotonia del tempo, scandito dal ritmo e dalle onde dei monitor, di cui annota ogni minima difformità, terrorizzata all'idea di doversene solo accorgere.

Un disagio interiore, che non resta solo solitudine, ma si fa inquietudine generale, sociale. E’ notevole il lavoro da parte della Comencini nella ricerca di uno spazio non abitato da sole donne, ma costruito attorno alla solitudine di uomini, che in ogni loro passaggio lasciano delle tracce importanti nel biancore generale, che avvolge ogni cosa, compresa la città dove è ambientato il film, Napoli. In essa tutta è attesa, monotonia, solitudine e deserto, realmente dipinte dalla splendida fotografia di Luca Bigazzi. Il bianco è anche il silenzio delle parole, gridate, ma nell’assoluto silente spazio.

Il film ha il punto focale nell’interpretazione, finalmente non isterica, di Margherita Buy: qui nella sua prova d’attrice migliore (ricordiamo solo un’altra così intensa, in Fuori dal mondo di Piccioni). Notevole anche la scelta della colonna sonora, con dei brani sorprendenti, ma sempre furbamente azzeccati come “Where is my love” di Cat Power e “I wish I knew it would fell to be free” magistralmente eseguita da Nina Simone.

Se il film convince per la sua capacità di emozionare, non mancano, tuttavia, quelle caratteristiche tipiche del cinema italiano, che adocchia sempre il piccolo schermo, non riuscendo a privarsi delle inutili e tante spiegazioni, di cui a volte si potrebbe fare benissimo a meno (giovando alla bellezza di un film): avremmo evitato volentieri, nel film, l’incontro finale della Buy con l’ex compagno, ma soprattutto del finale che, se lasciato alla libertà di chi é seduto in sala, avrebbe dato molto senso, soprattutto maggiore empatia allo spettatore che, con le parole della Buy, avrebbe ammesso : “Sto li dentro tutto il giorno. Aspetto che nasca. O che muoia. Non lo so...”. Perché, anche a cinema, dobbiamo necessariamente conoscere il perché delle cose e non affidarci a quei pochi spazi bianchi che la vita, raramente concede?

Giancarlo Visitilli

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