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Anamorph. I ritratti del serial killer

Regia di Henry Miller vedi scheda film

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La recensione su Anamorph. I ritratti del serial killer

di mc 5
10 stelle

Nel campo dei thriller/horror esistono vari filoni e sotto-filoni, ma è possibile in questo ambito operare già a monte una distinzione generale fra teen movies e thriller-horror più impegnativi e pretenziosi. Il film di cui mi accingo a parlare appartiene senza alcun dubbio alla seconda categoria. E posso aggiungere che si tratta di uno dei film più sorprendenti e destabilizzanti visti negli ultimi mesi. Un horror che racchiude aspetti esoterici, enigmatici, malati, decadenti, insomma tutto fuorchè un prodotto banale, peraltro dotato di un potenziale seduttivo non indifferente. Ma anche da un punto di vista produttivo e distributivo il film presenta alcuni lati oscuri. Per esempio un finale vagamente frettoloso che potrebbe far supporre ingerenze produttive, oppure il fatto che un film girato nel 2006 veda la luce solo adesso, rimasto dunque in naftalina per tanto tempo per quale motivo? Insomma, a parte la vicenda profondamente perturbante, esistono disparati fattori che avvolgono questa pellicola di un senso di mistero e di incompiuto. Fra l'altro poi, da rilevare che il film, oltre ad averlo visto in pochissimi, non lo ha recensito praticamente nessuno. E in quelle poche recensioni ricorrevano un paio di riferimenti eccellenti: "Il silenzio degli innocenti" e "Seven". Con due simili modelli, si possono intuire le tinte oscure della pellicola, le atmosfere opprimenti, lo sfondo inquietante. Eppure, grazie ad una accorta sceneggiatura e ad una buona regìa, il film riesce a svincolarsi brillantemente dai modelli citati, e ad assumere connotati propri che lo rendono decisamente interessante. Potremmo infatti definirla una pellicola molto "cool". Forse certi dettagli orrorifici-anatomici non sono esattamente credibili, tale è complessa la loro elaboratissima costruzione, ma va bene così perchè poi anch'essi sono funzionali al clima intricato e torbido che domina tutta la pellicola. Abbiamo un detective (Stan Aubray, un ispirato Willem Dafoe), con un passato evidentemente ingombrante di cui si avverte il disagio fin dalle prime inquadrature. In questo passato c'è un'amica del protagonista la cui scomparsa violenta ad opera di un maniaco continua a tormentare in forma di incubo i giorni e le notti del nostro poliziotto. Quel maniaco era diventato una specie di nemico beffardo per il detective, un avversario a lungo rincorso ma mai raggiunto. Fino a quando, dopo la morte dell'amica di cui si diceva, il criminale sembra sparire nel nulla. Ad un certo punto però, ecco che "l'uomo" torna a colpire alla sua maniera. Nel senso che costui non è il consueto sadico seviziatore, ma bensì un tipo di maniaco decisamente unico nel suo genere, e qui sta la particolarità che caratterizza il film, e che ne eleva il tono e la qualità. Ciò che l'assassino "opera" sulle sue vittime non è così semplice da descrivere. Diciamo che, con pazienza estrema e fantasia creativa da vero artista, lui ne scompone membra, viscere e quant'altro, per poi ricomporle e riassemblarle a costituire un'opera d'arte (proprio in senso estetico), la quale opera è oltretutto un rompicapo visivo, poichè ciò che l'occhio vede varia a seconda dei punti di vista di chi osserva questi "capolavori di macelleria". Mi rendo conto che siamo in pieni delirio e devianza, ma per fortuna si tratta di pura fiction e -grazie a Dio!- stavolta non ci si è ispirati a nessuna storia vera...Dunque il demente assassino (chiamato col nomignolo di "Zio Eddie") torna a perpetrare i suoi delitti e naturalmente a "firmarli" con le sue raccappriccianti "composizioni umane". E di nuovo si instaura un rapporto di reciproca ossessione fra "Eddie" e Stan il detective. Un'ossessione che li lega sempre di più, in una specie di meccanismo perverso, in cui i due sono alla continua ricerca ed inseguimento l'uno dell'altro. E questo rapporto si tinge talmente di ambiguità da insospettire un collega poliziotto di Stan, che decide di metterlo sotto controllo (è un grande Scott Speedman). Tutta questa vicenda è raccontata coi toni giusti di un thriller "malato", sullo sfondo di una New York livida, grigia, umida e fredda, grazie ad un'ottima fotografia che ci restituisce una metropoli crepuscolare ricca di suggestioni. Un film, dunque, piuttosto raro, che pur richiamando a tratti i modelli sopra citati, riesce ad entrarti nella pelle. Cos'altro aggiungere? innanzitutto un Dafoe assolutamente perfetto, anche nei minimi dettagli, nei panni di questo singolare poliziotto amante dell'arte e del senso estetico (perfino alla cassa del supermercato, disponendo sul banco la merce comprata, opera delle piccole "composizioni"). Bravissimo Scott Speedman, mentre Peter Stormare appare perfino un pò troppo istrionico. E poi un'ospite specialissima, che si intravede per una frazione di secondo, mentre fa capolino da dietro una porta socchiusa: la mitica icona del pop-disco-punk anni 70/80, Debbie Harry (che io molto amai in gioventù...). Nel film è contenuta una sequenza grandiosa, che merita assolutamente una segnalazione. Si tratta di un inseguimento a piedi tra il poliziotto e l'assassino, ripreso magistralmente, il cui aspetto clamoroso è che a un certo punto non si riesce più a capire chi è l'inseguitore e chi è l'inseguito: una scena degna del miglior De Palma se non addirittura del miglior Hitchcock e che vale da sola il prezzo del biglietto. Vorrei tanto raccomandarvi la visione di questo film, ma temo che ormai difficilmente sia visibile in giro.
Voto: 9

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