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Drag Me to Hell

Regia di Sam Raimi vedi scheda film

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La recensione su Drag Me to Hell

di ROTOTOM
8 stelle

Di cosa parliamo quando parliamo d’orrore. Parliamo dei fratelli di Lehman abbandonati per strada ed insieme a loro un esercito di mutuati mutanti, mutati da solventi a solubili, sciolti come omini di   zucchero filato un dì di pioggia (citazione: chi indovina vince una Fiat Duna).  Quale forma può aver assunto lo spettro della strada in quei piccoli esseri sedotti e abbandonati nel Maelstrom della macroeconomia informe fagocitante di anime e denari? O parliamo invece di stregonerie, dentiere bavose e marce in primo piano, vomito di vermi, fiotti di sangue e ombre spettrali che da sotto la porta pretendono il giusto compenso per una vita spesa nelle tenebre a tramare il male. E quale forma ha assunto il male evocato da una vecchia pazza alla quale proprio quel mutuo le è stato negato e che comunque non sarebbe riuscita a pagare perdendo comunque la casa? Una Lamia. E cos’è? Tipo un titolo tossico emesso su mutuo subprime. Ha la stessa forma cornuta, la stessa consistenza invisibile e tangibile al tempo stesso sui destini degli umani. La stessa efficacia nel renderti la vita impossibile, lo stesso finale drammatico. Viene evocato da stregoni e si abbatte sulla vita delle persone e per quanto si faccia ammenda, si cerchi di placarne l’ira, l’entrarne in contatto provoca lo sprofondamento all’inferno. Sam Raimi è intelligente, troppo per ammettere l’evidenza della sovrapposizione dei temi nel suo ultimo film, anche se è vero e sacrosanto che il genere horror  si inzuppa sistematicamente degli umori nel  momento sociale in cui viene prodotto e realizzato, quasi ad insaputa dei realizzatori stessi, almeno la lungimiranza, a questo ex enfant prodige della cinematografia delle “schifezze”  va riconosciuta.

Così la dolce Christine in lizza per il posto da Vicedirettore, in competizione con un laido collega decide – e nei film horror le scelte hanno sempre conseguenze dirette e orribili – di non concedere un mutuo ad una orribile vecchia – in questo caso l’apparenza coincide con la sostanza – che si rivelerà una strega, la quale la maledice. Nella vita di Christine compare quindi una Lamia, uno spirito che la trascinerà all’inferno per l’eternità non prima però di averle tormentato l’esistenza per ben tre giorni (e sennò il film come si faceva?).

Quindi secondo uno schema collaudato del genere horror, in una situazione di “normalità”,  bancaria in questo caso, ovvero rovinare qualcuno per i propri interessi, si insinua un elemento deflagrante che fa precipitare la normalità nel caos. E il caos è tutto made in Raimi, che dopo il compitino pulitino dell’Arrampicamuri (benché apprezzabile nonché foriero di svariati miliardi di dollari di incassi)  torna a insozzarsi le mani come un bambino felice che gioca con la cacca.

Il film è horror, certo, ma un horror cartoon alla Tex Avery, si ride molto delle vomitate di vermi, gli occhi che schizzano grazie ad un incudine sganciata dal soffitto (che ci fa un’incudine agganciata al soffitto? Dov’è Bugs Bunny?) che colpisce la vecchia megera, dentiere che scivolano dalla bocca raggrinzita della strega riprese in primo piano così da scatenare il più sano dei ribrezzi.
E ancora baci in bocca alla morta, fiotti di sangue dal naso, fette di torta con occhi strabuzzati e così via, in accumulo di situazioni tra il parossistico e il demenziale, il tutto stemperato dall’ironia disimpegnata di chi conosce molto bene le regole del gioco, avendole reinventate in un capanno nel bosco ventisette anni fa.

In più un po’ di sana cattiveria, il mors tua vita mea che diventa parola d’ordine alla quale non ci si fa scrupolo di sacrificare perfino un innocente gattino.

 La storia si potrebbe scrivere su un francobollo e i personaggi sono, giustamente, bidimensionali essendo il film un cartoon dalla comicità slapstick e grottesca, tutto l’intreccio è tenuto insieme da un equivoco sul contenuto di una busta e sulle visioni di un medium,  artifici narrativi molto esili che però servono a fare scivolare il tutto verso una fine tutto sommato prevedibile. Non c’è comunque confronto con La Casa, dove le invenzioni visive e lo splatter raggiungevano livelli di folle divertimento, in Drag me to hell si avverte la consapevolezza di un autore che dirige un film fiero del proprio passato di regista di culto e il cui successivo passaggio ai blockbuster industriali – crede- non l’hanno cambiato affatto. 
Non è così, questo film va preso per quello che è, senza troppe pippe intellettualoidi, sano intrattenimento, cinema allo stato puro girato da un maestro in modo impeccabile – fotografia luminosissima,  inquadrature sghembe e grandangoli, ritmo sostenuto e montaggio vorticoso (da rivedere in moviola l’aggressione in macchina e la scena della tomba allagata) - che sconta però una reale mancanza di originalità e di reale coinvolgimento emotivo tanto che il –necessario-  ricorso ai sobbalzi dalla poltrona a causa dei “buh!!” a volume altissimo dopo un po’ comincia a essere fastidioso come il terzo giro consecutivo sulle montagne russe.
L’effetto luna park in questo senso è garantito, questo prometteva il film e tanto ha mantenuto, si esce sorridendo e felici come bambini che hanno per un paio d’ore giocato con la cacca insieme al regista. 

Il bello poi è che i cattivi e gli antipatici alla fine la fanno franca e il film finisce molto male. E in fondo in fondo, chi se ne frega. 

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