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Orphan

Regia di Jaume Collet-Serra vedi scheda film

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La recensione su Orphan

di stanley kubrick
8 stelle

La parapsicologia si impossessa della normale realtà dei fatti nella terza creatura di Jaume Collet-Serra, quando Esther, ragazzina all'apparenza semplice e innocua, viene adottata dai coniugi protagonisti del film, che rimangono folgorati dalla bambina, che denota subito un certo interesse per il disegno a mano. I suoi disegni sono naif, e ci ricordano i dipinti di Buono Legnani, il pittore del film di Avati, La Casa Dalle Finestre Che Ridono, figure silenziose che dardeggiano nel fondo in cerca di una verità perduta, oppure di un semplice aiuto che li riporti nella realtà, togliendoli da quel mondo strano che ancora non si è capito. Non appena entra nella casa, si avverte subito un cambiamento nelle sue abitudini, comincia a fare il doppio gioco, entra in conflitto di idee con il primogenito della famiglia, mentre sembra instaurare un buon rapporto con la seconda figlia dei due, sordomuta, che aiuterà Esther in più di un occasione. Il pianoforte sostituirà i disegni, strabiliante il modo in cui suona ?ajkovskij, musica idolatrata da molti, di recente ripresa da Aronofsky per il suo Il Cigno Nero. L'orientamento religioso di Esther si basa su una semplice bibbia, sinonimo di istruzione, ancor prima della vera e propria scuola. La protezione che ne deriva lascia esterrefatti, una lega indistruttibile fa comunicare Esther con il libro sacro e, in una scena del film, quando sono a scuola e la classica bulletta d'istituto glielo rompe, Esther comincia a urlare come una forsennata. Il mondo che la circonda non la può capire veramente, quindi si rintana dentro casa a giocare con la sorella, o si dedica a giochini erotici nel finale con il padre. I coniugi entrano in conflitto quando la madre comincia a dubitare di Esther, della sua vera identità, e comincia a indagare. Il loro rapporto matrimoniale è legato ad un filo, ma la colpa non è di loro due, è colpa della bambina appena adottata.
L'incipit è folgorante, una totale identificazione del male traspare in sala parto nel momento dell'atto di creazione dell'umano. I medici sembrano impazziti, il marito gira con una videocamera tutto l'avvenimento, senza fare niente, senza fermare la pazzia interiore che traspare nel momento in cui un medico profana la vagina della moglie, e tenta di prendere il bambino, che poi morirà non appena uscito fuori. Il sogno è una materia che non va toccata, gli incubi sono dietro l'angolo, e la partecipazione al sogno della donna diventa una soppressione, una voglia continua di esserci dentro, per poi sperare che la loro terza figlia riesca a nascere, e non che finisca in un fiore in mezzo a un orto gigantesco, colto da Esther in maniera terribile, per fare un regalo alla madre. La ragazza indemoniata della pellicola dovrebbe colmare il vuoto presente nelle anime dei coniugi, dopo la scomparsa della loro terza figlia. La speranza che tutto questo si risolva è retta sulla schiena anche dal comportamento del primogenito, che non accoglie in maniera entusiasmante la nuova arrivata, e tenta in tutti i modi di allontanarla dalla sua famiglia.
Il film sviluppa il tema del doppio mischiato a disturbi cronici della crescita. La "piccola" Esther si dimostra essere una vera e propria donna ultratrentenne che, a causa di un disturbo alla crescita, sembra una bambina. La sua voglia di distruggere la famiglia protagonista è data dal fatto che i suoi genitori non le hanno voluto mai bene, e lei li ha uccisi, appiccando un incendio nel loro appartamento. La vendetta è data dal fatto che l'inserimento nella nuova famiglia si contrappone a quello della famiglia prima. Il bene si manifesta più volte, e sembra quasi che Esther non regga tutta questa attenzione da parte dei nuovi genitori, così comincia a comportarsi in maniera strana, prima uccidendo la suora che la accudiva nell'orfanotrofio e successivamente far cadere dallo scivolo la bulletta che il giorno prima gli aveva rotto la bibbia.
L'equilibrio familiare non è solido anche per il fatto che la donna si ubriacava mentre il marito la tradiva. Queste cose Esther sembra che le sappia già, così deflagra tutto quello che è rimasto di buono nella famiglia, in modo da avere tutto per sè il padre, prima spaccandosi l'osso dando la colpa alla madre, poi quasi soffocando il primogenito dopo aver appiccato l'incendio nella casetta sull'albero.
La tensione nel finale regge e si assiste a un buon prodotto del genere horror, diverso dagli altri specie per questo equilibrio che non vuole essere solido. Buona la prova della splendida Farmiga e ottima quella di Isabelle Fuhrman, la Esther del film.

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