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Moon

Regia di Duncan Jones vedi scheda film

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La recensione su Moon

di OGM
8 stelle

Quella di Moon è la fantascienza nel senso più tradizionale, e quasi commuove per la semplicità con cui, con il sussurro intimista tipico del cinema contemporaneo, riscopre i contenuti classici del genere. Dopo le divagazioni metafisiche di Stanley Kubrick e Andrej Tarkovskij e le fantasmagorie da videogame di George Lucas, Duncan Jones ritorna ai consueti temi della tecnologia avveniristica: i robot umanoidi, le stazioni lunari, l'ingegneria genetica.  Il realismo psicologico con cui egli ritrae la quotidianità dell'astronauta solitario è, nel contempo, candido e raffinato, e quindi tale da far vibrare, all'unisono, le corde della sensibilità e dell'immaginazione. Lo spazio interstellare è là fuori, inerte e forse potenzialmente ostile; ma la sua vastità è l'ampolla di vuoto che avvolge l'anima dell'individuo, trattenendo e facendo rimbombare, tra le sue pareti, tutti i suoni ed i sussulti provenienti dal cuore. Sam Bell è l'uomo alle prese con un progresso di cui è impotente servitore, essendo esso cresciuto al di sopra della sua capacità di capire. L'evoluzione ha raggiunto un livello così avanzato da mettere in crisi, oltre alla percezione della sua identità, anche la fiducia nelle sue facoltà morali e intellettuali, dalla coscienza alla memoria. La persona si specchia nel prodotto della propria scienza (il clone), ne riconosce le sembianze, eppure non lo vede come appartenente a sé. L'alienazione è, d'altronde, il substrato letterario comune ad ogni avventura extraterrestre, che innesta l'elemento straordinario e incomprensibile su un substrato perfettamente umano e terrestre (i supereroi, gli esseri mutanti, gli androidi, gli alieni che ci in parte ci assomigliano, le navicelle spaziali così simili ai comuni aerei). Dal Voyage dans la lune a E.T., la storia nasce quando lo standard incontra la variante, o l'originale la riproduzione. E, come suggerito dal capolavoro di Georges Méliès (e dalle opere di Jules Verne), il primo passo in questa sfida galattica, è quello,  ingenuamente poetico, di considerare il nostro satellite come una copia, rarefatta e stilizzata, del pianeta in cui viviamo.

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