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Madre

Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film

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La recensione su Madre

di munnyedwards
8 stelle

 

A volte bastano i titoli di testa, il film deve ancora iniziare e tu hai già capito che ti stai per approcciare ad un opera importante, una di quelle che lasciano il segno, che ti rimane dentro per giorni, che ti ritrovi a pensarci nei momenti più impensati, così d’improvviso, a me non capita spesso, anzi, non capita quasi mai.

E’ successo con Mother, con quell’incipit straniante e poetico, questa donna, questa madre (Madeo dal titolo originale) che con sguardo assente, confuso, vaga solitaria in un vasto campo di grano, si guarda alle spalle come se temesse di essere seguita, poi si ferma e sulle note della splendida musica di Lee Byung-woo inizia a danzare.

Un ballo che profuma di libertà, di fuga dalla realtà, di tremenda consapevolezza, un ballo che è poesia su schermo, che emoziona e conquista, pochi minuti e sei già dentro il film di Boon Joon–Ho, ci sei dentro e ci resterai per le due ore che seguiranno, completamente rapito e affascinato.

 

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La scena che apre il film è ovviamente un flash-forward, un anticipazione di un percorso narrativo a cui torneremo solo nel finale, dopo aver intrapreso un viaggio drammatico insieme ai due protagonisti di questa storia, una madre senza nome e suo figlio Do-Joon, un ragazzo ritardato spesso trascinato nei guai dal suo balordo amico Jin-Tae, che se lo porta dietro per fare casini e poi gli scarica le colpe, i due sono spesso ospiti del commissariato di zona, sempre per piccoli reati ma la madre è una presenza costante, pronta ad intervenire in aiuto del figlio.

Il rapporto tra i due viene lentamente sviscerato e cosi ci accorgiamo che il loro legame si alimenta di un intensità non comune, che si fa spesso ossessiva, morbosa, talmente forte da superare i limiti della morale, del resto nella vita dei due niente è normale, una donna non più giovane che cerca di tirare avanti come può e un figlio con problemi mentali e di memoria che per lei rappresenta tutto, un tutto che è una continua fonte di preoccupazione e dolore.

Le cose cambiano di colpo quando una giovane ragazza viene trovata morta e Do-Joon arrestato per il delitto, per gli agenti che lo interrogano è un gioco da ragazzi strappargli una confessione, anzi una semplice firma visto che la confessione era già bella che scritta.

Da questo punto in poi il registro del film cambia e seguiamo la madre nei vari tentativi di liberare il figlio, ma la cosa è praticamente impossibile perché il ragazzo non ricorda nulla della notte incriminata, per cui alla donna non resta che iniziare un’indagine personale alla ricerca del vero assassino.

 

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Come sempre Boon Joon-Ho plasma i dettami narrativi e schematici del genere per reinterpretarli a suo uso e consumo, qui la parte investigativa rimanda al giallo classico ma in pratica siamo lontanissimi da una rappresentazione di questo tipo, Mother è prima di tutto un film altamente drammatico che pur non rinunciando a virate grottesche (anche se meno evidenti rispetto ad altri film del regista) punta tutto sulla gigantesca figura di questa donna, una madre coraggio che cercando la verità si spinge oltre i limite del consentito, rischiando in prima persona e affrontando delle sfide che la portano sempre più lontano dalla realtà.

Perché le domande che genera il film sono semplici e complesse allo stesso tempo, fino a dove si può spingere una madre per aiutare il proprio figlio? Quali sono i limiti sociali e morali oltre i quali è giusto fermarsi? Come si può chiedere ad una madre di non fare tutto il possibile, e anche l’impossibile, per salvare il figlio che ama più di se stessa?

Tutti questi dilemmi si infrangono nella determinazione assoluta della madre di Do-Joon, il suo è un viaggio senza ritorno negli abissi di un anima che si fa sempre più nera, marchiata a fuoco dai segni di un indagine umana che prima di ogni altro aspetto privilegia la naturale potenza di un legame indistruttibile.

Amore, possesso, odio, paura sono sentimenti che si mescolano nel cuore di una donna che in fondo non ha scelta, non può averla perché ad una madre non è concesso questo privilegio, quindi non le rimane che lottare con tutte le sue forze per uscire infine vincitrice, ma la sua è una vittoria di Pirro che trova un senso solo nella sua mente ormai lacerata, una dimensione alternativa dove l’unica salvezza è rappresentata dai ricordi che possono e devono svanire, mentre si balla solitari in un campo di grano.

 

 

Mother è probabilmente il miglior film di Boon Joon-Ho, se non superiore senza dubbio sullo stesso livello del più conosciuto e apprezzato Memories of Murder, tecnicamente il regista si conferma ad altissimi livelli gestendo con la consueta perizia i tempi del racconto ma soprattutto dirigendo e valorizzando al massimo la prova attoriale di Hey-ja Kim, una prova di un’intensità ed efficacia rara, un ritratto di donna che resta impresso a lungo nella nostra mente.

Ma il regista sudcoreano si conferma ancora maestro della mescolanza narrativa, abile nel costruire sequenze ad altissima tensione, giocate sull’importanza di significativi particolari, per poi virare sullo scavo umano più profondo indagando lo sguardo perso di una donna in fuga, o di un ragazzo ritardato che improvvisamente ricorda un orrore passato, e in tutto questo ce la messa in scena di un contesto esterno plumbeo e insensibile, dove le istituzioni sono assenti o completamente fuori fase, dove ancora una volta la preda più facile è quella che non si può difendere, la più debole, la più semplice da colpire.

Meritano una citazione la splendida fotografia dell’ottimo Alex Hong e le musiche del già citato Lee Byung-woo.

Voto: 8

 

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