Espandi menu
cerca
Vendicami

Regia di Johnnie To vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Marcello del Campo

Marcello del Campo

Iscritto dall'8 marzo 2011 Vai al suo profilo
  • Seguaci 106
  • Post 32
  • Recensioni 207
  • Playlist 30
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Vendicami

di Marcello del Campo
8 stelle

La cifra stilistica di To è l’iperbole (nel senso etimologico di esaltazione di corpi in battaglia, rottura delle regole gravitazionali, sballottamento delle geometrie spaziali). Ma a questa baraonda si arriva dopo una lezione di quiete zen che To mutua dal cinema di Jean-Pierre Melville.

Johnnie To

 

Una premessa orientale

 

Tratto da uno script di Wai Ka-Fai (co-regista insieme a Johnnie To di Mad Detective (Sun Taam,  2007) e dopo il deludente film a tre con Ringo Lam e Tsui Hark, Triangle (Tie Saam Gok, dello stesso anno),  il pirotecnico regista di Hong Kong (56 anni e oltre 50 film – mancano le 50 mogli di John Huston), presenta a Cannes nel 2009 Vengeance (Fuk Chou, 2009) che in italiano è tradotto con un peregrino Vendicami.

 

 

Johnnie To riporta in auge, ancora una volta, un genere che, a detta del sottoscritto e di molti spettatori attenti ai generi, il cinema americano ha dimenticato: il noir più cupo, quello vestito a lutto dei grandi film-maker Anni Quaranta (Sam Fuller, Joseph H. Lewis, Edgar Ulmer, tanto per citarne alcuni) e i non meno gloriosi epigoni dei Cinquanta (Phil Karlson, Don Siegel, Robert Aldrich, Richard Fleischer).

Saggisti della storia del noir storceranno il naso, ma a mio parere la nozione di genere va dilatata oltre i tempi dettati dai codici occidentali, anche perché quel genere, tralasciato e ridotto a pura routine dai registi degli States, ha trovato nuovo vigore nei registi di Hong Kong (Andrew Lau, John Woo, Soi Cheang, Tsui Hark), segnatamente in Johnnie To, attraverso un’operazione devota e appassionata di sincretismo di generi che ha convogliato sul corpo morto del noir americano le cadenze del gemello francese (il primo Sautet, Tavernier, Deville, Deray) con imprestiti dai silenziosi approdi di Jean-Pierre Melville e dagli stilemi severi di Robert Bresson; uno strano quanto mirabile percorso, un cercle rouge che, partendo dalla matrice americana, restituisce ai mittenti smemorati un oggetto d’amore, rimodellandolo sui codici orientali, con il risultato che l’eroe negativo (o positivo?) del public enemy si trasferisce nei panni dello yakuza. Un’operazione questa che nel cinema degli Anni Settanta aveva allettato grandi registi americani come Sidney Pollack (Yakuza), Sam Peckinpah (Killer Elite), John Frankenheimer (The Challenge – L’ultima sfida) e negli Ottanta Ridley Scott (Black Rain), Michael Cimino (L’anno del dragone), Philip Kaufman (Sol Levante), con risultati eccellenti (Pollack, Peckinpah, Cimino), modesti negli altri. Qualcosa del genere aveva tentato Sam Fuller 50 anni fa con Il kimono scarlatto e La casa di Bambù, due film all’altezza del pedigree già magistrale del regista. A queste fonti va aggiunto (non è secondario, al contrario, è decisivo) il contributo offerto alla definizione del noir orientale dal cinema di Sergio Leone e dai b-western all’italiana (non è casuale, in ambito coreano l’omaggio-remake di Kim Jee-Won, The Good, The Bad, The Weird del 2008 al regista ciociaro o, in quello giapponese, Sukiyaki Western Django del 2007 di Takashi Miike a Sergio Corbucci) al quale si ispirano i registi giapponesi con l’insistenza sui primi piani, una cospicua dose di fiotti di sangue, le musiche di Morricone, di Bacalov e di altri musicisti italiani.

 

Vengeance

 

 

La trama è lineare come in tutti i film di Johnnie To. A Macao un uomo, sua moglie e  I loro due bambini vengono assassinati in modo brutale da tre uomini in una notte di pioggia. Il padre della donna, Fancis Costello (Johnny Halliday), un signore anziano ben portato arriva a Macao da Parigi deciso a vendicare la figlia (che è sopravvissuta) e la sua famiglia. Nell’albergo in cui ha preso alloggio, l’uomo incontra sul piano dove è diretto tre uomini inviati dal potente capobanda George Fung (Simon Yam) che un attimo prima hanno eliminano con ferocia la donna del Boss e l’amante di questa. Costello ingaggia i tre sicari, Kwai (Anthony Wong Chau-sang), Chu (Lam Ka Tung) e Fatty Lok (Lam Suet), offrendo loro una grossa somma in denaro e il ristorante di sua proprietà agli Champs Elysées purché trovino e uccidano gli assassini dei suoi cari. Costello è uomo rotto a ogni esperienza, in passato è stato anche lui un killer professionista, ora deve fidarsi di tre sconosciuti stranieri poiché la polizia non gli offre serie garanzie di risolvere il caso. D’altra parte, uno che si chiama Francis Costello non ha niente a che spartire con gli uomini di legge né l’idea della scoperta degli assassini lo alletta quanto quella della vendetta. Lo ha giurato alla figlia, ha firmato “vengeance” sulle foto dei cadaveri di suo genero e dei bambini massacrati, ha firmato “vengeance” per ricordarsi che forse quella è la sua ultima missione. Costello ha una pallottola nel cervello che, gli ha riferito il medico che lo salvò dalla morte molti anni prima, con il passare del tempo lo condurrà al totale oblio di sé e degli altri.

 

Vengeance non è il migliore film di Johnnie To, ma quello che accade nei canonici novanta minuti (la durata standard del cinema classico americano, quella che ha fatto scrivere a Carlos Clarens in Giungle Americane che i grandi registi di crime-movie vanno dritti allo scopo, senza fronzoli narratologicamente inutili) è un pandemonio di inaudita efficacia, una danza della morte girata da un occhio che ha già dato prova di sapienza acrobatica nei precedenti capolavori di estetica della violenza che attinge a un parossistico funerale barocco. La cifra stilistica di To è l’iperbole (nel senso etimologico di esaltazione di corpi in battaglia, rottura delle regole gravitazionali, sballottamento delle geometrie spaziali). Ma a questa baraonda si arriva dopo una lezione di quiete zen che To mutua dal cinema di Jean-Pierre Melville, non è per niente casuale che il protagonista (o il co-protagonista?) si chiami Francis Costello come il Frank Costello di Le Samurai (Frank Costello Faccia d’angelo), anzi si può dire che è il revenant che nell’oltretomba ha vissuto una seconda vita ed ora è ritornato vecchio e stanco per vendicarsi come aveva fatto mezzo secolo prima. Né è di poco rilievo che Johnnie To abbia partecipato al documentario Sous le nom de Melville (Code Name: Melville, 2008) di Olivier Bohler insieme a Philippe Labro, Bertrand Tavernier, Volker Schlondorff.

Possiamo, infine considerare Vengeance come la sintesi suprema (con To gli aggettivi sono ‘in levare’) dei suoi film migliori o la continuazione di Exiled del 2006: l’amicizia virile che non diventa mai machismo volgare, l’antipsicologismo in opposizione alla psicologia spicciola in cui affogano i recenti crime movie americani e francesi (anche se molti registi d’oltralpe scopiazzano in malo modo lo stile di To, ricorrendo al digitale, ai ralenti senza costrutto, alle panoramiche ‘a schiaffo’ per velocizzare l’azione, pratiche velleitarie dalle quali il regista di Hong Kong si tiene a distanza, lungi dal tradire lo stile classico dei maestri, anzi accentuandone i caratteri solidi nelle carrellate vertiginose, nei piani sequenza che lasciano senza fiato, - vedi gli oltre sette minuti iniziali di Breaking News), nell’uso parsimonioso dello zoom, nei primi piani di ascendenza leoniana.

 

I protagonisti dei film di To non hanno nulla da insegnare, non pongono domande esistenziali, vengono dal nulla e al nulla ritornano; non si sa niente del loro passato, sono come appaiono sullo schermo in un momento della loro vita; sono eroi sradicati, yakuza, ronin senza padroni, ligi al ‘signore’ che concede loro mercede in cambio di favori criminali, ma pronti a ossequiare, armi in pugno, il ‘nuovo signore’ che ha conti da pareggiare con il vecchio, se le ragioni del secondo sono più valide.

Kwai, Chu e Fatty Lok non esitano a mettere a repentaglio la propria vita in Vengeance: Francis Costello è uno di loro, non un losco individuo molle e vile come George Fung. Non più i servitori di due o più padroni come nella teoria di film cui diede inizio Red Harvest di Dashiell Hammett, mai diventato film ma che ispirò Yojimbo di Akira Kurosawa, Per un Pugno di dollari di Leone, Ancora vivo di Walter Hill, ma servitori, meglio executioners della volontà di chi ha pagato un prezzo enorme per farsi giustizia ed è diventato loro amico.

 

Da Macao i tre ronin arrivano a Hong Kong dove si nasconde la serpe. La guerra che li vede impegnati contro altri tre sicari è composto da tre azioni strategiche che fanno di Vengeance un The Mission al quadrato solo per la quantità di bullets on the air, perché nessuna sparatoria ha in questo bellissimo film l’intensità dei tableaux vivant circolari dei gunmen in azione in The Mission, dove lo spazio intero viene rotto dalle cadenze di note di lounge music funebre (dovute a Ching Wing Chu) e da raffiche di revolver che accendono il buio come in una cerimonia per un massacro. 

 

La colonna sonora

Straordinaria soundtrack: Tayu Lo fa ricorso a un country ‘straniante’ alla Duane Eddy (o se si vuole un paragone moderno, i Volebeats o i Calexico): twang guitar e polvere del deserto urbano.   

 

 

Simon Yam

Simon Yam, Philip Tan

Scia di morte (2004): Simon Yam, Philip Tan

Simon Yam

George Fung è Simon Yam, classe 1955, faccia conosciuta come quella di Anthony Wong, attore di grande talento, è uno dei ‘belli’ del cinema di Hong Kong, come Tony Leung ha interpretato ruoli di primo piano anche in film internazionali (vedi The Hitman, Contract Killer con Jet Lee); con Johnny To (Exiled, Election, Election II, Breaking News, PTU, Fulltime Killer, The Mission, inoltre grandi film come i già ricordati Yip Man, Expect the Unexpected, e in due capolavori (Once Upon a Time in China, 1991 di Tsui Hark e Bullet in The Head, 1990, di John Woo.

 

Kwai è Anthony Wong, classe 1961, madre inglese, definito l’Humphrey Bogart orientale, è un attore che molti fan del cinema dell’Est conoscono bene. Capace di passare con disinvoltura da parti di poliziotto a quelle di gangster, Wong è uno dei migliori attori e caratteristi del mondo. Con Johny To è apparso in Mad Detective (2007), Exiled (2006), Election 2 (2005), Throw Down (2004), Breaking News ((2004), Running on Karma (2003)), PTU (2003), Fulltime Killer (2002), The Mission (2000), A Hero Never Dies (1988) Exiled (2006); in Infernal Affairs (2000), Infernal Affairs II (2003), Infernal Affairs III (2004) di Andrew Lau & Alan Mack, Time and Tide (2000) di Tsui Hark, Violent Cop di Takeshi Kitano (1999), Hard-Boiled  di John Woo (1992), ecc.

 

Johnny Hallyday

Francis Costello: Johnny To va sul sicuro: per la parte di Francis avrebbe voluto Alain Delon (il vecchio ‘samurai’), ma all’attore sembra non fosse piaciuto lo script. Buon per noi che possiamo ammirare un superlativo Johnny Halliday, viso scolpito nel legno della sofferenza, quel viso che nell’Uomo del treno portava i segni di una vita iscritta nelle pieghe che affascinavano l’intellettuale Jean Rochefort.

 

Sylvie Testud

 

Sylvie Testud

Pour une femme (2013): Sylvie Testud

Irene Thompson, la figlia di Costello è interpretata (per poco che appare) da Sylvie Testud (Lourdes, La vie en rose)

 

Ka Tung Lam

 

 

Chu  è Lam Ka Tung, classe 1967, fa parte degli attori del team di Johnny To (Mad Detective, Exiled, Election 2, Infernal Affairs, Infernal Affairs III). Da ricordare la sua partecipazione al capolavoro Yip Man (2008) di Wilson Yip.

 

Suet Lam

 

 

Fatty Lok è Lam Suet, grassoccio e simpatico, come dice il nome, Suet ha interpretato ruoli di primo piano in film di To (Mad Detective, Exiled, Election, Election II, PTU, The Mission) e in Expect the Unexpected (1988) di Patrick Yau, Dog Bite Dog (2006) di Soi Cheang, Kung Fu Hustle (2004) di Stephen Chow.

 

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati