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Il profeta

Regia di Jacques Audiard vedi scheda film

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GIMON 82

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La recensione su Il profeta

di GIMON 82
10 stelle

Romanzo di formazione,la crescita interiore e umana è un passepartout di scalata al vertice d'un mondo cattivo.
Le "mura infami" del carcere sono un qualcosa di amaro,il magma infernale dove esiste ogni sorta di girone:etnico,criminale e coercitivo.
Malik è un giovane sprovveduto, ingenuo e semianalfabeta,catapultato nelle grinfie d'un microcosmo chiuso alla civilta' "di fuori".Il suo ingresso nel carcere è quello d'un "pulcino",triste e solitario,avvicinato dai "galli corsi" d'un pollaio affollato della peggior specie umana.
"Il profeta" di Jacques Audiard è un lavoro "tumido",vive nella forza d'un ambiente rigido e semovente nell'insegnamento e il rilancio "socio-criminale".
Il didascalismo non è quello edulcorato da disocuppato o famiglia disagiata,vive su piu' livelli,dove la fotografia livida e grigia comanda gli anfratti di mura marce da degrado dell'animo.
E' una funzione coercitiva quella che avvolge Malik,interpretato in modo sublime dal talentuoso Tahar Rahim.Una coercizione esercitata in modo "punitivo-didattico" dal gruppo dei malvitosi corsi.Audiard anestetizza gli ambienti,li rende un "humus unicum",alla stregua d'un microcosmo isolato, il carcere è il "train de vie" d'un percorso vitale.L'"esordio nel mondo" di Malik è un rito d'iniziazione violento e brutale,un passaggio scenico forte e roboante,pregno di tensione e propagazione di globuli.La regia di Audiard gode nel frangente d'una macchina da presa che piroetta e avvolge l'azione,riempie ogni attimo di Malik e il detenuto arabo un corpo unico,esplodendo nell'orgia truce e sanguinolenta.
Il percorso formativo di Malik andra' avanti,consumandosi in rapporti e visioni "da profeta"  rendendolo criminale e prima di tutto uomo.
E' straordinario l'impatto creato dalla regia al servizio di attori quasi non-professionisti, rendendoli  crudi e reali,un prolungamento viscerale d'un mondo chiuso e sommerso.
Un sotteraneo umano che si redime e sopravvive come puo' all' inferno interiore,pagandone le conseguenze sulla pelle, anche attraverso un oggetto "innocuo" come un cucchiaino.
"Il Profeta" è un opera "oltre", non si ferma alla pura osservazione delle cose,va oltre,analizzandone aspetti sociali e culturali di uomini alla deriva.
E' un unione di lingue,razze e religioni diverse che si scontra e s'affronta,nel predominio del mondo infame del carcere.
Tuttavia Audiard riesce egregiamente a trasformare la materia(sociale) scomoda  avvinghiandola all' enfasi "poetica" e malinconica,dove Malik viene sorretto da allucinazioni premonitrici,quasi uno "stato mentale" dove la percezione inconscia è sposata alla realta'.
E' enigmatico e controverso questo aspetto,ma tuttavia riesce a unirsi al contesto grigio,nei dialoghi coincisi e a volte aleatori,dove comanda un gruppuscolo di bruti delle sbarre.
Potenza e  forza registica risiedono nella scrittura granitica, unita al vigore registico studiato nel dettaglio.Le inquadrature mobili  accompagnano il "viaggio" e la vita dei detenuti.
Un viaggio che si conclude nell'ascesi redentiva e sociale,Malik l'ingenuo ha lasciato il posto all'uomo scafato ed esperto,si avvia lentamente alla vita, con le "spalle coperte".
Il carcere delle "visioni" di Audiard è alle spalle,incomincia un altra vita,dove il "Profeta" è aiutato dalla sua visione "oltre" che lo guidera' chissa' dove........

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