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Il profeta

Regia di Jacques Audiard vedi scheda film

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La recensione su Il profeta

di pazuzu
8 stelle

Quando Malik El Djebena entra in carcere non ha nessuno fuori ad aspettarlo, né tantomeno dentro c'è nessuno in cui riporre la minima fiducia. E' un ragazzo di origine nordafricana spiantato e privo di punti di riferimento, non sa leggere né scrivere ma parla sia l'arabo che il francese. Malik è solo. Ma in carcere, se vuole sopravvivere, deve scegliere da che parte stare, con gli arabi o con i corsi. E a scegliere per lui è il boss dei corsi, César Luciani, che fin da subito lo obbliga a sottostare alle sue regole offrendogli in cambio protezione. Malik non ha scelta e fa di necessità virtù: esegue gli ordini e impara il corso (ascoltandolo) conquistando poco a poco la fiducia del capo, e nel frattempo si istruisce e coltiva altri contatti all'interno della fazione opposta. Un prophète si snoda in 6 anni, ossia l'intero lasso di tempo che Malik passa in prigione, dal suo ingresso fino alla scarcerazione, descrivendo il suo percorso e la sua ascesa. La metafora di cui il film si fa portatore è talmente chiara da apparire fin troppo banale e didascalica: il microcosmo carcere altro non è che la riproposizione in scala del mondo che sta fuori, dominato da soprusi violenza e corruzione. E' la legge del più forte. Malik la sperimenta subito sulla sua pelle e la fa propria, si rapporta freddamente con l'intero ambiente e, comportandosi come una spugna, osserva ed assorbe tutto ciò che può essergli utile, prima per resistere, poi per imporsi lui stesso. Il regista assume da subito il punto di vista del protagonista ma, mutuandone il distacco e il motto, lavora per sé stesso, sceglie di non aderire mimeticamente al personaggio ma mantiene da esso la distanza necessaria ad impedire allo spettatore la totale immedesimazione e a suggerire di conseguenza una progressiva nonché inevitabile riflessione sulla metafora (e il didascalismo) di cui sopra. Insomma, Un prophéte è un film furbo ma indubbiamente riuscito e visivamente potente, un buon film carcerario con robuste escursioni nel gangster movie, o anche un gangster movie mascherato da film carcerario, o forse sia l'uno che l'altro, a seconda di come lo si guarda e da cosa ci si aspetta di vedere. In ogni caso non è un capolavoro, non inventa nulla e non è vettore di messaggi particolarmente innovativi, ma Audiard gira divinamente ed è abile nel mettere in scena la storia nel modo più efficace ed avvincente, costruendo il film su una sceneggiatura solida e priva di cedimenti di ritmo e dirigendola con piglio, (camera a) mano (frenetica vigorosa e) sicura, ed attenzione per i dettagli. Bravi gli attori, strepitoso Niels Arestrup nel ruolo del boss corso César Luciani.

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