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Vincere

Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film

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La recensione su Vincere

di spopola
10 stelle

Difficilmente ritorno a breve su uno stesso film (e su questa pellicola ho già espresso in maniera credo abbastanza esauriente e circostanziata il mio positivo parere). Se sento la necessità di fare di nuovo alcune considerazioni, è proprio in virtù del fatto che ritengo importante ribadire un aspetto che considero fondamentale per una valutazione oggettiva che vada persino al di là della storia (già di per sé a mio avviso stimolante e “necessaria”). Parlo della modalità di rappresentazione, dello “stile”, della materia filmica in quanto tale insomma, dalla quale non si dovrebbe mai prescindere per esprimere un giudizio, visto che di cinema si parla in fondo.Qualcuno ha trovato proprio in questa direzione concreti elementi di critica: una posizione negativa che io personalmente non condivido, ma che trovo perfettamente legittima, come lo sono sempre i parei difformi che si basano su una seria osservazione “discordante” e circostanziata, che è sempre utile per accresce “conoscenza”, magari anche per aprire un dibattito costruttivo e un “aperto confronto” delle idee scevro da pregiudizi. Per quanto mi riguarda invece, è su questo piano (su quello strettamente “linguistico”) che il lavoro di Bellocchio risulta essere straordinariamente innovativo, anche “vertiginoso” oltre che rappresentare la conferma inequivocabile che al cinema più importante di ciò che si racconta è proprio come “lo si racconta”, e di quanto sia rilevante (fondamentale) la ricerca di un linguaggio cinematografico adeguato (autonomo) conforme al progetto (che diventa poi “stilizzazione della forma”) a dare il vero senso ad una storia. Indubbiamente “Vincere” ha rappresentato per il regista una sfida stimolante per misurarsi proprio con il “mezzo” e saggiarne le possibilità “creative” e devo dire che al di là dei punti di vista differenziati su ogni altro aspetto, è innegabile che su questo piano ne è uscito largamente vincitore, comunque la si pensi: mai come in questo caso Bellocchio è stato pronto a sperimentare e a mettersi in gioco, a “osare” facendo scelte persino estreme, “radicalizzando” insomma il suo percorso di autore e adeguando anche l’andamento “ritmico” delle immagini all’evolversi dei fatti e dei “mutamenti” anche comunicativi indispensabili per aggiornarsi ai “tempi rinnovati”, che si dipanano lentamente - dopo un “furioso” inizio futurista - verso un più disteso melodramma, ma non platealmente esibito come forse la dirompente forza drammatica degli avvenimenti avrebbe suggerito, bensì quasi “rappreso” così da costringere lo spettatore, grazie anche alla particolare, straordinaria “mediazione” che deriva dalla insistita iconografia delle immagini del “cinema nel cinema per fare cinema”, a non lasciarsi emotivamente travolgere, ma a partecipare attivamente (e “criticamente” per citare ancora una volta la lezione di Brecht, ma solo come enunciazione teorica, poiché Bellocchio raggiunge il risultato per strade ben diverse e ben più impervie) alla “rappresentazione” tragica degli eventi. Questo è il grande merito, questo il risultato entusiasmante che io credo dovrebbe essergli riconosciuto ed è su questo versante che ritengo importante calcare la mano con forza, proprio per come ha saputo usare ed inserire il cinema e le immagini di repertorio anche documentaristico (il Duce che diventa “attore nella fase della maturità solo attraverso questi “spezzoni”) non come contorno esplicativo, ma come componente essenziale di un poema visivo di straordinaria potenza “penetrativa” che la forza evocativa della fotografia di Ciprì rende davvero indimenticabile.

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