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Vincere

Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film

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La recensione su Vincere

di spopola
10 stelle

Bellocchio ha davvero colto nel segno, è stato capace da par suo di “raccontare una storia” nella STORIA (che è anche presente), “graffiando” in profondità e mettendo così a nudo il marciume nauseabondo di un uomo e di un periodo. Il suo avere centrato il bersaglio, la sua “scomodità” narrativa rispetto al sistema corrente, sono tutti elementi che si evincono come una amara certezza dalle reazioni di supponenza che qui in Italia hanno accolto “criticamente” questa pellicola (a mio avviso un po’ istericamente “impaurite” delle ricadute sull’oggi, e per tale motivo meschinamente votate alla negazione della indiscutibile “positività” di questa sua ultima fatica, quasi un passaparola programmatico – o una “istigazione” - che vanta però, e per fortuna, anche molteplici, accreditate e autorevoli eccezioni di voci fuori dal coro). E’ impossibile non esprimere perplessità e legittimi dubbi di fronte a una così compatta “levata di scudi” quasi tutta politicamente orientata, proprio perché attacca, tentando di svilirla (per ridurre così anche l’impatto con i messaggi e gli avvertimenti veicolati) proprio la inequivocabile qualità “artisticamente” compiuta, del risultato raggiunto, e rappresenta la conferma di un “servilismo” evidente, di una “sottomissione” al potere di gran parte dei nostri media, della grettezza meschina del nostro giornalismo anche di settore, che rinuncia scientemente e per biechi interessi di pancia e di parte, ad essere oggettivo e neutrale, evitando di riconoscere - come sarebbe stato il caso di fare in questa circostanza - il “merito” e il valore di un regista di nuovo (e definitivamente) grandioso, che ha ritrovato i furori e l’ispirazione dei tempi gloriosi del suo esordio, aggiornati e maturati dal tempo e dagli anni, capace per questo di restituirci l’incubo disturbante di un passato che pensavamo di avere esorcizzato e che invece è di nuovo il contemporaneo divenire dei nostri tempi, un'inquietante reiterazione che sembra ripetersi immutabile e con modalità sorprendentemente conformi, con la quale dobbiamo fare i conti giornalmente), tanto siamo soffocati e sommersi da una mai sradicata aberrazione ideologica, nuovamente sdoganata come una “verità dogmatica” dal dittatore dottrinale attualmente al governo, la cui immagine comportamentale si riflette (potremmo dire “specularmene”) con inquietanti e quasi “simmetriche” geometrie proprio nel ritratto de duce e del suo laido percorso pubblico e privato. A scanso di equivoci, dichiaro subito allora che il film mi ha coinvolto ed entusiasmato, mi ha esaltato e terrorizzato al tempo stesso, e mi ha risvegliato anche una rabbia collerica che assume il senso quasi catartico di indurre una necessaria e liberatoria voglia di ribellione imperiosa difficilmente contenibile. La sua “rappresentazione” è implacabile (quasi inesorabile), fa soffrire e riflettere, induce alla partecipazione, pur con la necessaria riflessione critica sempre importante di fronte a fatti di cotanta portata e gravità. Li ripropone infatti (in una dimensione storicamente attendibile) con tutta la loro intensa drammaticità, mediati però dall’afflato struggente della “poetica” di immagini e percorsi che potrei definire persino “sublimi” per come si compongono e si dipanano davanti ai nostri occhi , fra spezzoni di repertorio mai così pertinenti, e una “ricostruzione aulica” e volutamente un pò “sopra le righe”, in perfetta sintonia con l’esasperazione trombona dell’epoca di riferimento. La vicenda che già conoscevo grazie al documentario “Il segreto di Mussolini “di Fabrizio Laurenti e Gianfranco Norelli passato qualche anno fa su Rai tre, era comunque poco diffusa e scarsamente conosciuta: merito di questa pellicola allora è anche quello di averla definitivamente sdoganata universalizzandola, fino a renderla una verità inconfutabile e incontrovertibile. Un film che al di là del su valore intrinseco, aiuta a ricordare, a tenere presente che non “si deve mai dimenticare” (o abbassare la guardia) e a mantenere vive e vigili le menti (e le coscienze) che il qualunquismo e l’ipocrisia revisionista stanno cercando di lobotomizzare con il loro appiattimento mistificatore, nonostante l’impegno ormai un po’ troppo “rinunciatario” a respingere l’offensiva di un gruppo sempre più sparuto di “resistenti attivi”.“Vincere” per quanto mi riguarda, allora, è uno dei “vertici” avvolgenti di un cinema fatto di passione e di sangue, che sa “osare”,e lo fa con un clamore sotteso ma prepotente che si stempera nel doloroso calvario di due esistenze “negate” ma alla fine vincenti per la loro caparbia determinazione ad “esistere” e ad essere riconosciute e ricordate per il loro effettivo ruolo e "significato" (chissà cosa ne pensa la pudibonda Alessandra: sarebbe curioso interrogarla al riguardo di fronte a tanto squallore morale). Si aggiunge poi la potenza di uno stile coraggioso e innovativo ma al tempo riconoscibilissimo (la “summa” amplificata del cinema di Bellocchio e delle tematiche ricorrenti che lo attraversano e lo nobilitano, rendendolo comunque unico) che gronda impegno e partecipazione anche emotiva, tutte qualità sviluppate e rese preponderanti da una competenza autoriale che meriterebbe davvero quel plauso incondizionato e unanime (che troppi sono stati invece fortemente restii a tributare) . Il risultato è infatti così straordinariamente personale da non temere l’esasperazione dell’eccesso (quel suo essere così “gridato” è proprio l’arma vincente), in perfetto stile e sintonia con le caratteristiche “rappresentative” del ventennio che ci ritroviamo “scomodamente” di nuovo fra i piedi, ovviamente più aggiornate nelle modalità sottilmente pervasive della contemporaneità e che purtroppo trovano la sponda in troppe menti allo sbando che si esaltano del nulla nel celebrare “venerandolo”, il “mostro” che ci sta nuovamente divorando. “Vincere” è un film stratificato, aperto a molti piani di lettura, tutti perfettamente realizzati con stile e perfezione. In primo luogo è forse proprio “un cinema che si nutre di cinema” e che nel cinema (o se preferite “dal cinema”) trova più volte ispirazione e “senso”, anche nei riferimenti quasi “iconografici” di molte immagini e di tante citazioni persino “esplicative” che diventano le chiavi di volta indispensabili per comprendere meglio l’evolversi del racconto in tutte le sue fasi di “tragicità” esponenziale. Al tempo stesso però è anche un inappuntabile “trattato di storia” (degli orrori terribili della nostra storia) che mette a nudo l’ipocrisia tutt’altro che folle di personaggi di una bassezza inqualificabile, tanto sono gretti e miserabili nella loro spudorata spregevolezza. E’ anche un film sulla “comunicazione” (e le sue manipolazioni) intesa come “potere” che esercita sulle masse e sull’importanza che assume il modo di “veicolare” l’immagine. Per questo, è capace – interpretando e illustrando il passato - di spiegarci i meccanismi perversi (e le ragioni) a causa dei quali siamo di nuovo al punto in cui ci troviamo, di raccontare con rammarico ma senza rassegnazione, che il tempo e le esperienze non hanno modificato gran che questo popolo italiota (per lo meno la sua stragrande maggioranza, a vedere i risultati pratici): fascista era (non parlo di ideologia soltanto, ma di posizionamento del pensiero, di quell’opportunismo vigliacco e profittatorio che ci fa essere un “riconosciuto” paese di ladri, speculatori, trafficanti e puttanieri, perfettamente identificabile e sovrapponibile con il governo eletto, che è poi quello che ci meritiamo, purtroppo) e fascista è rimasto (non tutti evidentemente): un segnale inquietante che fa riflettere e immaginare che forse sarebbe stata necessaria a suo tempo, quando era ancora possibile, una pulizia più radicale e definitiva,(e qualcuno senz’altro mi criticherà per una affermazione così estremizzata, ma che a mio avviso proprio la lettera di tale Andrea non meglio identificato, pubblicata sull’odierno numero di Film Tv, giustifica ampiamente, anche se come al solito si potrebbe dire che è sempre e solo questione di punti di vista) perché alla resa dei conti probabilmente del cosiddetto “sangue dei vinti” ne è stato sparso meno di quanto sarebbe stato necessario per arrivare a una bonifica davvero definitiva che esorcizzasse per sempre (per dirla con Brechet) la bestia feconda che ha di nuovo partorito il “bastardo” che è fra noi. “Vincere” allora è anche il più politico dei trattati che possiamo immaginare, ma svolge la materia con insolito vigore, utilizzando un linguaggio “mediato” (quasi traslato) vicino a quello del “melodramma” tragico esasperato, che ci fa assorbire meglio e senza necessità di predicozzi retorici, tutto l’orrore che sta dietro (ma anche davanti) la storia di Mussolini e del fascismo, ce lo fa toccare con mano, ne disvela i meccanismi, ne denuncia gli egocentrismi biechi e volgari che non meritano rispetto né pietà . Al tempo stesso però, è anche un film di amori e di passioni travolgenti, di follie (e dedizioni) amorose, si può dire, di “fiducia tradita”, di sogni miseramente infranti, e di dolorose “negazioni”. Di fronte a tanto raccapriccio, non dobbiamo mai dimenticare però che qui non si parla di “una delle tante” – troppe – amanti del duce (e non sarebbe poi nemmeno tanto diversa in ogni caso la considerazione finale), ma della sua VERA prima moglie legittimamente sposata in chiesa (l’ipocrisia delle posizioni!!!) e del suo figlio primogenito, due scomode presenze troppo fiere e determinate per accettare l’omologazione del silenzio, per sottostare a una volontà “ricattatoria” che forse li avrebbe risparmiati (ma non è detto), due figure costrette a pagare a caro prezzo il proprio indomito desiderio di verità, la necessità di lasciare “tracce” indelebili di un passaggio, di rivendicare il proprio effettivo ruolo a dispetto di tutto e di tutti. Il discorso potrebbe prolungarsi ancora, tante sono le problematiche che ne emergono, tante le considerazioni anche di carattere pratico che si potrebbero fare. Non voglio però diventare pleonastico. Poiché mi precedono due riflessioni critiche di straordinaria efficacia e sinteticità (mi riferisco a quelle espresse con la consueta autorevolezza da Serpico e lao), che esemplificano magnificamente -ciascuno a suo modo e secondo le proprie differenziate percezioni - molte delle cose che dovrei anche io ripetere, sicuramente con minore proprietà di linguaggio, mi sembra allora superfluo spendere altre parole oltre a quelle che hanno espresso così bene loro, limitandoni a dichiarare che sono a mia volta perfettamente in sintonia con i loro esaustivi giudizi, sviscerati con tanta partecipata competenza. Di mio, e a conclusione, aggiungo la non comune emozionalità del percorso che ancora mi sconvolge tutto, l’incedere frenetico, fortemente ansiogeno, quasi “futurista” delle azioni, dirompenti ed sovreccitate fin dall’incipit, il “furore”e la passione che emanano le immagini, il carattere rivoluzionario del desiderio femminile che si avverte prepotente e persino la follia un po’ patologica di una ossessione contrapposta all’inaccettabile implacabilità di una “personale” e discutibilissima “ragione di Stato” che grida vendetta per quanto risulta essere personalizzata e contraddittoria. Certo che un uomo che si comporta così persino con il suo primo LEGITTIMO erede, è un deprecabile millantatore che non merita alcun rispetto né pietà: il prezzo che ha pagato alla fine dei sui giorni, è stato certamente meno tragico e terribile di quello che le sue azioni (personali e pubbliche) avrebbero ampiamente meritato. Superba e maestosa la regia, temeraria ed amplificata, a volte quasi “veemente”; livida e smagliante, con punte di inarrivabile poeticità mai fine a se stessa, la straordinaria fotografia di Daniele Ciprì; un capolavoro di “dirompente” stringatezza infarcito di pindarici “voli” emozionali il coinvolgente montaggio di Francesca Calvelli, che mischia “realtà e finzione”, anticipa e rimanda, dissemina il percorso di premonizioni e assonanze; grandiosamente “opulenta” la colonna sonora di Carlo Crivelli che mescola e sincronizza musica ed effetti sonori con una capacità esplicativa che amplifica la visione e le fa assumere per questo un ruolo preponderante, di indispensabile complementarietà al racconto, molto di più e di meglio insomma di un “semplice” commento fine a se stesso. Che dire poi degli interpreti? Tutti straordinari ed efficaci nelle loro caratterizzazioni, un nucleo compatto di indimenticabili presenze, ciascuna adeguata al ruolo e al compito assegnato: un coro omogeneo e coordinato che si integra alla perfezione con molti memorabili “assoli” ( Michela Cescon, Paolo Pierobon, Piergiorgio Bellocchio... ma solo per citare i primi nomi che mi vengono in mente perchè tutti dovrebbero ambire a una menzione, tanto sono bravi ed appropriati, e l’elenco rischierebbe di diventare troppo corposo) e due straordinari “mattatori”, davvero in stato di grazia, magnifici e penetranti che non possono essere facilmente dimenticati per le prove davvero maiuscole che hanno offerto e che sono l’anima stessa della rappresentazione: Filippo Timi .. e i suoi occhi, il suo sguardo "traforatore" iggettuvamente inobliabile le tanto è magneticamente” terrificante per ciò che trasmette, uno sguardo dentro il quale è racchiusa tutta la complessa, devastante personalità di Mussolini… così conforme all’originale che troveremo poi nella seconda parte della rappresentazione “documentaria” della sua insopportabile e ridicola baldanza tronfia e guittesca da fare davvero impressione e paura. E soprattutto poi – perché non dirlo visto che di solito non sono mai stato molto gentile né compiacente con lei? - Giovanna Mezzogiorno, un’attrice che ho sempre considerato poco più che passabile (quando volevo essere buono), ma che qui è davvero “grandiosa”, un' importante e “necessaria” rivelazione: ci restituisce una Ida Daiser a tutto tondo con una recitazione nervosa, commossa e determinata (uno “sguardo” a sua volta da cinema muto si potrebbe definire il suo, quasi di stampo “espressionista”) e un persino impudico e coraggioso esporsi senza remore fuori e “dentro” (anima e corpo, si potrebbe dire) qualità "importanti e "rare" al giorno d'oggi soprattuto nel panorama spesso provinciale e approssimativo del cinema nostrano.

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