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Il nastro bianco

Regia di Michael Haneke vedi scheda film

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La recensione su Il nastro bianco

di giancarlo visitilli
8 stelle

Con la primigenia del cinema, che guarda a Novecento non tralasciando il meglio di Olmi, torna uno dei registi più originali del panorama mondiale, l’austriaco Michael Haneke. Nuovamente con una storia fascinosa e poco affascinante, dura e sempre oltre i limiti. Tutto ambientato in un microcosmo claustrofobico, si tratta di una comunità rurale di Eichwald, che ha tutte le caratteristiche della Germania all'alba della Prima Guerra Mondiale, è il racconto del maestro del villaggio. Un memoriale triste, perché abitato dai fantasmi di due personaggi che, messi insieme, sono nientaltro che la personificazione dei grandi fantocci-dittatori, di cui la storia di quegli anni (ma ce n’è in giro anche oggi) è sovraffollata: si tratta del Barone e del pastore protestante. Nel villaggio tutto è guidato dalla sventura. Il film si apre con l'incidente a cavallo di cui è vittima il dottore del villaggio, scaraventato in terra da una corda tesa tra due alberi, ma di lì a poco anche la moglie di un contadino precipiterà da un soppalco. Il figlio della donna crederà che colpevole dell’omicidio è il Barone, a cui devasterà il campo di cavoli. Insomma, tutta la vita della piccola comunità sarà una catena di montaggio della violenza, ora a botte di corpi che si picchiano, poi attraverso una violenza verbale, che ha la stessa valenza di quella fisica. Terrificante la crudeltà del pastore nei confronti dei figli. Stupefacente, nonostante la tragicità, la scena in cui un bambino pone delle domande alla tata sulla morte, domande che precederanno di poco la scoperta di una madre in viaggio per sempre, nell’aldilà.

Non c’è nulla nel film che resta puro, bianco ed immacolato, come il nastro dei ricordi; finanche i bambini, che meravigliosamente fotografati (Christian Berger) mostrano la loro innocenza, man mano che la storia si dipana, emergono anche in loro più le ombre, che le luci, più i grigi, che i bianchi: rappresentazione della loro decadenza morale, di cui si sono nutriti in quel luogo e fra quegli adulti. L’apice della malvagità salirà e raggiungerà il suo culmine, quando arriverà la vigilia della prima grande guerra.

Il nastro bianco è un film a tesi, in cui però, la più importante è quella secondo cui non esiste alcuna purezza e ingenuità nelle azioni umane. D’altronde Haneke non ci ha mai creduto, non ha avuto mai ‘niente da nascondere’, in tal senso e lo ha sempre dimostrato attraverso i suoi meravigliosi film. Non sarà un caso che Il nastro bianco è il vincitore della Palma d’Oro a Cannes 2009. L’estremo rigore formale, la naturalezza e la purezza del racconto, la perfetta architettura dei sentimenti, conciliati con le giustapposte inquadrature, fanno di questo film un capolavoro. Sulla vita, sulla morte, ma soprattutto sulla mancanza alcuna di espiazione.

Giancarlo Visitilli

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