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Fuga dal call center

Regia di Federico Rizzo vedi scheda film

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La recensione su Fuga dal call center

di FilmTv Rivista
8 stelle

Sapessi com’è strano, fare il laureato a Milano. Il concetto è chiaro: «Se dopo la terza media fossi andato a lavorare, adesso non avresti nessun problema», così si sente dire il povero Gianfranco, vulcanologo fresco di università e freschissimo di disoccupazione. Uno che lo squillo dei call center ce l’ha stampato, come un presagio, persino nel cognome: Coldrin. Ed è proprio negli open space che il ragazzo finisce a fare il pollo d’allevamento, dopo un colloquio demenziale con lo psicologo stralunato Tatti Sanguineti: «Lei ha polluzioni notturne? Bagna il letto?», chiede. Segue l’assunzione per una società che si chiama Iperthesis, naturalmente a tempo determinato («Così te ne puoi andare quando vuoi»), 5 euro lorde l’ora e la pausa caffè cronometrata. Allora scatta il secondo lavoro: a fare le pulizie a casa dei filippini che di mestiere fanno le pulizie. E che lo sfottono: «La vita è fatta a scale, c’è chi le lava e chi le sale». Intanto anche i sentimenti diventano precari, perché la sua fidanzata si stressa e se ne va, complici i nonni adottivi di entrambi, che in questo mondo all’incontrario decidono di scappare insieme, regalando ai ragazzi un’inaspettata, indesiderata indipendenza. Piena di complicazioni e di conti che non tornano. Federico Rizzo, classe 1975, formazione al Dams, realizza un piccolo film, aspirante cult, girato in digitale e con la camera a mano, affidandosi alla fresca e sincera spontaneità di Angelo Pisani (dei Pali e dispari) e di Isabella Tabarini, appena vista in Tagliare la parti in grigio. La narrazione è contrastata, come la fotografia a tinte forti di Luca Bigazzi: suggestioni stravaganti e leggere si alternano alle interviste con i veri operatori di call center, 250.000 in tutta Italia, secondo i dati della Camera del Lavoro, il 10% solo a Milano. Storie di sopravvivenze appese a un filo: senza diritti, senza la possibilità di un mutuo, piene di ansia e di poca speranza. Ma qui l’ambizione non è la denuncia: si ride per non piangere e qualche volta si canta anche, quasi come nei musicarelli.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 15 del 2009

Autore: Andrea Giorgi

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