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Gli amici del bar Margherita

Regia di Pupi Avati vedi scheda film

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La recensione su Gli amici del bar Margherita

di maurizio73
4 stelle

Il giovane Taddeo racconta con nostalgia ed ingenuo orgoglio giovanile le vicende ed i personaggi che ruotano attorno ad un famigerato locale bolognese, il Bar Margherita, nell'ormai lontano 1954. Tra gaudenti fannulloni,mariti fedifraghi,irridenti ricettatori meridionali e sprovveduti figli di famiglia in cerca di dote e di avventure galanti si alterna la varia umanità di un 'postribolo sociale' cui l'imberbe ed ingenuo Taddeo guarda con ammirazione e spirito di emulazione cercando in tutti i modi di entrarne a far parte. Riuscirà nel suo intento a spese di una madre lavoratrice single e del nonno vedovo sedicente campione di goriziana.
Quello di Avati, qui al solito sceneggiatore e regista, è il garbato refrain di un Amarcord in tono minore dove la vena nostalgica dell'autore bolognese è declinata secondo l'usuale schema di un racconto (filmato) di formazione in cui confluiscono tanto i riflessi di un lambiccato autobiografismo (la passione registica,la rievocazione di una provincia spensierata e gaudente, i rapporti con il gentil sesso, i luoghi dell'infanzia,etc.) quanto la presentazione di una galleria di personaggi singolari e caratteristici che conservano da un lato lo spirito di una peculiare irriverenza emiliana (quanto romagnola poteva essere quella di memoria felliniana) e dall'altro la sconsolata trivialità di una masnada di perdenti, individui votati all'insuccesso di una esistenza inconcludente e imbelle (a partire dal protagonista voce-narrante di un giovane sfaticato che relega se stesso al ruolo di cavalier servente e servile di uno smargiasso e cinico 'Don Chisciotte'). Operazione riuscita in parte, anche grazie ad una nutrita compagine di buoni attori da commedia leggera (tra cui anche un vetusto e impenitente Gianni Cavina, attore feticcio di Avati) ed all'atmosfera rarefatta di un'epica provinciale che da sempre accompagna il cinema del nostro; mentre debole appare tanto per la struttura episodica delle vicende narrate (a volte solo pretesti per la messa in scena di goliardiche rimpatriate) quanto per l'insanabile macchiettismo che affligge i personaggi descritti (Abatantuono gigione come non mai, De Luigi risibile cantautore con ambizioni Sanremesi, Lo Cascio ricettatore siculo e irridente 'linfomane', Marcorè mite e bonario figlio di famiglia inesperto seduttore di furbe 'entreneuse' e chi più ne ha più ne metta). Da rilevare la usuale vena di cinica misoginia nella smaliziata doppiezza delle figure femminili quale degno contraltare di personaggi maschili deboli e incompetenti, come implacabile motore psicologico di equivoche relazioni sociali tra perbenismo di provincia e goliardiche trasgressioni. Scenograficamente furbesco, si riproducono gli scorci di una Bologna che fu tra Roma e Cuneo.
Sbiatito Amarcord di mosche da Bar.

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