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Basta che funzioni

Regia di Woody Allen vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Basta che funzioni

di logos
8 stelle

Un’opera dall’inizio esplosivo, il cui personaggio, un certo Boris, non fa che parlare agli amici dell’amarezza che prova per questo mondo homo homini lupus, in cui tutti i valori morali non sono che ipocrite illusioni per non guardare in faccia alla realtà, condannata dal caos e dal nulla, mentre le nostre esistenze effimere credono di essere al centro dell’universo.

 

Boris ha già tentato il suicidio ma il caso ha voluto che fallisse; stava per vincere il premio Nobel sulla fisica quantistica ma il caso (o le strategie politiche) glielo hanno negato; stava con una donna colta, bella e ricca ma si è fatto lasciare. Perché? Perché è un genio, e come genio è insopportabile per le sue continue ossessioni, il suo maniacale e imperterrito senso di smarrimento contro l’assurdità esistenziale dell’insignificanza, disprezzando tutti coloro che fanno finta di non vedere questa assurdità e vivono credendo nell’amore, senza mancare di perdersi in sciocchezze come le distinzioni razziali, i conflitti quotidiani, le guerre e tutta la ciofeca che continuamente producono come se la vita, di per sè, non fosse già un peso cancerogeno.

 

In più, sempre per caso, deve addossarsi il carico di mantenere una giovane donna piovuta dal sud degli States, senza un soldo e sfuggita dai suoi genitori bigotti, con un’istruzione ridotta ai minimi termini.  Le dà tempo qualche giorno per rimettersi in sesto e poi sloggiare, e intanto il nostro genio prosegue, mantenendosi insegnando gli scacchi ai bambini, ai quali non manca di lanciare insulti. Addirittura una madre arriva a lamentarsi per il fatto che il suo povero figliolo ha ricevuto in testa niente meno che la scacchiera e Boris la pagherà cara quando il padre tornerà. Ma Boris replica alla povera donna di essere anche cornuta e la lascia stordita senza parole con la sua dialettica tagliente. La convivenza con la giovane donna prosegue, e inoltre, si chiama Mélody, si sente attratta da Boris fino a sposarlo. Inutile dire tutti gli effetti e contro effetti ironici che affastellano questa prima parte del film, ben calibrata nella sua dinamicità con il classico gioco, utilizzato fin dall’inizio, con il quale il personaggio Boris si rivolge al pubblico dalla quarta parete, sciorinando la sua vita passata, quella presente e ricordandoci che tutto è casuale, e niente permane, ma basta che funzioni.

 

Nella seconda parte assistiamo a un rovesciamento di alcuni personaggi. Durante la V di Beethoven, che Mélody è costretta a sentire rispetto alla musica dance, si sentono i battiti alla porta di casa Boris. Bella anche questa scena, perché Boris mentre se ne va di sopra dice a Mélody di farsela piacere pensando al ritmo della sinfonia come il battito del destino. Ma il caso vuole che quei battiti siano reali, e sono proprio quelli della madre pia e religiosa, lasciata dal marito, che bussa alla porta. Ha saputo di sua figlia, ma appena vede Boris, in quella casa scalcinata, presentato come marito della sua bambina e più anziano della stessa madre, questa non può far altro che svenire. Ripresasi dallo sgomento, combina stratagemmi affinché la figlia possa abbandonare il nichilista ateo anziano sciancato genio Boris per incontrare un giovane come si deve. La madre inoltre inizia a frequentare gli amici di Boris e, pian piano, tutto il suo mondo timorato di Dio svanisce e emerge una donna nuova, da sempre repressa, amante dell’arte fotografica e della sessualità, al punto che va a convivere con i due amici di Boris donandosi in tutto e per tutto in piena libertà.

Il presente sembra andare a gonfie vele, sennonché gli stratagemmi materni fanno effetto e Mélody si innamora del giovane come si deve. Nel frattempo arriva anche il padre, che vuole riconquistare la moglie ma tutto è perduto, e si confida con un omosessuale, con il quale scopre la propria vera natura, e voilà nasca una intesa tra i due. L’unico a rimanere solo ora è proprio Boris, al quale non resta che tentare di il suicidio per una seconda volta, peccato che va a sbattere proprio su una donna, peraltro medium, della quale finalmente si innamora.

 

Il caso, per quanto amaro, insensato e imprevedibile ha messo tutte le cose a posto, scombinando le personalità, facendole rinascere in una nuova identità sobbalzata dalla sua forza inarrestabile, che non tiene conto del bene o del male che riversa alle persone e alle cose, ma finché va per il verso che riteniamo giusto per noi occorre approfittarne, perché ogni momento dura quel che dura, e proprio per questo vale, perché è casuale e temporaneo, “basta che funzioni”.

 

Non c’è che dire, un grande manifesto sul pragmatismo nichilista esistenziale. Bello e profondo, a tratti didascalico e accelerato nella secona parte, ma davvero esilarante e amaro: una combinazione quasi perfetta…

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