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Departures

Regia di Yojiro Takita vedi scheda film

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La recensione su Departures

di riverworld
6 stelle

"Esercizio di abile necrocosmesi anch’esso, Departures applica illusorio make-up a un corpo narrativo inerte, imbelletta di coreografica (e presunta) grazia un’opera troppo comodamente terapeutica." Questo scrive Michele Favara su glispietati.it, e personalmente, da modestissimo interessato, più che vero conoscitore del cinema orientale, mi sento decisamente d'accordo con lui. Perchè infarcire il film di sottolineature continue, simbolismi e passaggi didascalici a tale livello? Io sono tra coloro che sostengono che nel cinema sia la forma a determinare i contenuti più che il contrario (e credo di appartenere ad una minoranza). Ma qui è successo che Yojiro Takita estremizza la forma, imbelletta e trucca letteralmente il suo film così come fanno i nokanshi con i corpi di cui si prendono cura. D'altronde già la seguenza iniziale la diceva lunga su quello che poteva essere il registro narrativo. Da una fitta nebbia bianca che nasconde ed annulla tutto (bianco=colore simbolico della morte in vari paesi orientali), emerge un'auto, all'interno della quale un uomo ha appena iniziato la sua rinascita. Dalla morte nasce la vita. Concetto ribadito nel film quando si sottolinea il fatto che ogni essere vivente per sopravvivere si ciba di cadaveri (animali o vegetali che siano). E questo approccio a sottilineare, descrivere ciò che è evidente, ribadire continuamente, si ripete, dall'inizio alla fine della pellicole. La tematica era forte da sola, parlare della morte non è cosa semplice, e la delicatezza più la maestria delle movenze dei nokanshi sono davvero ipnotiche e coinvolgenti. Questo è ciò che amo del cinema orientale, riuscire ad avere un "tocco" assolutamente unico (o quasi) nel modo in cui racconta le cose, siano esse amore, ossessione, crudeltà o violenza. Ma in Departures, che non brilla certo per inventiva registica e messa in scena, le quali sono assolutamente classiche e prive di alcun virtuosismo, sembra di trovarsi in un film american-buonista, dove tutto alla fine si appiana e si riaggiusta, dove alla fine sono tutti bravi, e tante, troppe situazioni (il passaggio del sasso dal padre al figlio ed alla moglie in primis) sono costruite ad arte per colpire e catturare, imbellettate appunto, per sembrare molto di più rispetto a quanto non sono in realtà.

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