Espandi menu
cerca
Nemico pubblico. Public Enemies

Regia di Michael Mann vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Furetto60

Furetto60

Iscritto dal 15 dicembre 2016 Vai al suo profilo
  • Seguaci 45
  • Post -
  • Recensioni 2007
  • Playlist -
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Nemico pubblico. Public Enemies

di Furetto60
7 stelle

Ottimo film di Michael Mann, sulla figura del famoso criminale statunitense, John Dillinger.

Figura, che nell’immaginario collettivo, è divenuta col tempo  leggendaria, John Dillinger era nato a Indianapolis, il padre era di origine tedesca e la madre americana e aveva sempre vissuto ai limiti, spesso travalicati, della legge. Da bambino era considerato un bullo, a venti un rissoso, a trenta il rapinatore più temuto e temerario d'America.  Nel periodo della Grande Depressione, fu a capo della famosa "Banda del terrore" che seminò la morte nel Midwest, tra il 1933 e il 1934,la gang per mettere a segno rapine e colpi in ben ventiquattro banche, non si fece scrupolo di uccidere un bel po' di gente. Nella banda ognuno aveva un compito ben preciso: chi guidava l’auto e studiava le vie di fuga, chi segnalava l’eventuale l’arrivo della polizia, chi materialmente portava a compimento la rapina, in un minuto e quaranta secondi precisi, come disse alla stampa durante un’intervista, dopo una cattura e prima della successiva evasione. I giornali dell’epoca descrissero Dillinger come una sorta di Robin Hood, rapinava le banche, avide, che avevano depredato i risparmi dei poveri cittadini americani, mettendoli sul lastrico, ma prima di andare via si premurava di distruggere tutti quei documenti, con cui gli istituti bancari tenevano per il collo la middle-class statunitense alle prese con la più grossa crisi economica della sua storia, si creò una sorta di aura magnetica attorno alla sua persona, mentre l'allora capo dell'ufficio investigativo federale, Edgar Hoover, strumentalizzò surrettiziamente il caso del gangster, per spingere il governo, verso la formazione di quella che sarebbe diventata la moderna F.B.I, un'organizzazione sofisticata, composta da uomini e mezzi, privi di qualsiasi remora, atti ad affrontare il crimine organizzato.Era in attesa del processo per l'omicidio di un poliziotto, quando nel marzo '34 fuggì dalla prigione di Indianapolis, con una spettacolare azione, riuscì a far evadere molti dei suoi compagni : Red Hamilton, Homer Van Meter e Baby Face Nelson. Poi conobbe la guardarobiera Billie, in una sala da ballo, sulle note dell’immortale “Bye bye blackbird”. John non esitò a confidarle cosa facesse per vivere e, di fronte all’imbarazzo  di Billie, che affermò di non sapere nulla di lui, le rispose: “Mi piacciono il baseball, i film, i bei vestiti, le macchine veloci, il whisky e tu. Cos'altro devi sapere? Nel frattempo, però le cose stavano mutando, l’FBI di Hoover stava cambiando strategia e aveva affidato l’incarico al giovane Melvin Purvis, anche lui figura carismatica, che con freddezza aveva appena ucciso a colpi di fucile, in un campo di mele, un altro gangster pericolosissimo, Pretty Boy Floyd. In uno dei rari incontri tra questi due avversari  ci fu un dialogo surreale: Purvis chiese a Diliger:” c’è qualcosa che non la fa dormire di notte ? e lui risponse:” sì il caffè.” Purvis era il perfetto antagonista di Dillinger: determinato, scrupoloso, perfezionista e spregiudicato, capace di sopportare la tensione della stampa e dell’opinione pubblica. Dopo una nuova rapina, rifugiatisi in Wisconsin al Little Bohemia Lodge, Dillinger ed i suoi affrontarono nuovamente la polizia in un conflitto a fuoco memorabile, in cui pochi riuscirono a restare vivi. Dillinger non poté più comunicare con Billie, che ormai era segnalata, pedinata e intercettata dall’FBI. In una scena memorabile e realmente accaduta, Dillinger entrò in una stazione di polizia, girò per le stanze, sbirciandola propria immagine appesa al muro chiese anche il risultato degli Yankees, uscendo indisturbato, senza che nessuno l’avesse riconosciuto, nonostante il suo volto fosse noto, nonostante i cinegiornali lo mostrassero in continuazione, l’aura della sua invincibilità lo rese quasi invisibile. Accadde lo stesso quando, proprio sotto i suoi occhi, la polizia catturò Billie, ma non si accorse della sua presenza e poi ancora in una sala cinematografica, dove nessuno riconobbe la sua faccia. Dillinger riusci a ricongiungersi con Billie, ma per poco: la ragazza fu catturata dall’FBI e malmenata dai federali, che volevano estorcerle, il luogo ove si era nascosto John, senza peraltro riuscirci. Non fu Billie a tradire John Dillinger bensi una sorta di” entraîneuse “la signora in rosso, per via del colore vistoso della gonna, che servi ai federali per individuare il gangster, la quale priva di permesso di soggiorno aveva pattuito uno scellerato accordo con Purvis poi disatteso, consegnandogli di fatto Dillinger. All’uscita dal cinema dove John si era recato in compagnia di questa “amica”, in una calda serata estiva, a Chicago, gli uomini dell’FBI, guidati da Melvin Purvis gli spararono alle spalle, La ricostruzione di quella notte è l’apoteosi drammatica del film. John Dillinger fu ucciso in quell’agguato il 22 luglio 1934 ad appena 31 anni e pare che le sue ultime parole furono rivolte alla sua amata Billie. Il regista Michael Mann racconta i tredici mesi trascorsi dal 10 maggio 1933, giorno in cui era riuscito a fuggire dal penitenziario dell’Indiana, sino a quella sera d’estate, va dritto al sodo in un racconto in cui ancora una volta pone l’uomo al centro del suo universo narrativo. I suoi eroi o il più delle volte antieroi, sono dei lupi solitari, persi nell’ossessione di primeggiare, spesso sono sentimentali. È così anche per John Dillinger, che si innamorò della bellissima Billie Frechette e con lei abbandonò la sua filosofia del tutto e subito, senza domani, per vagheggiare una fuga impossibile ed un futuro insieme. Oltre ad una narrazione fluida ed elegantissima, vi è la consueta ricerca formale di Mann, anche grazie alla fotografia di Dante Spinotti, tuttavia, la ricerca stilistica non è mai di maniera, ma serve a Mann per indagare con sguardo nuovo nelle espressioni, che danno vita ai suoi personaggi. I film di Michael Mann affondano le loro radici nel cinema di genere, più tipicamente americano. In questo pregevole lavoro cinematografico, Mann utilizza spesso la camera a mano, per stare dietro ai suoi personaggi e restituire tutta la “suspence” di una caccia senza tregua. Il regista ha sfruttato magistralmente, la rivoluzione digitale e la vera opportunità che le nuove macchine da presa in HD potevano offrire: soprattutto quella di “vedere tra le ombre”, così l’ha chiamata Dante Spinotti, qui tornato a girare con Mann, dopo quasi un decennio. In parole povere, è la tecnica di filmare durante la notte, laddove è sempre stata uno dei grandi problemi della pellicola girare al buio, se non simulandolo in maniera spesso innaturale. La qualità di queste immagini è sempre di altissimo livello. Mann non è interessato a storicizzare o mitizzare la figura di Dillinger, il suo sguardo è rivolto alla persona, al carattere, all’umanità o alla disumanità dei suoi protagonisti. I suoi antieroi senza domani combattono contro tutti, ma anche contro sé stessi, Johnny Depp veste i panni del protagonista in modo esemplare. John Dillinger era un uomo perfettamente consapevole della sua particolarità e del sinistro fascino esercitato sui complici, come sulle donne. Preda dei suoi demoni, agiva con freddezza e sprezzo del pericolo, Billie Frechette è l’incantevole Marion Cotillard, perfetta per un ruolo piccolo, ma straordinariamente significativo: intensissimo quel drammatico cambio di espressione, nell’ultima scena in carcere, di fronte all’agente che aveva ucciso John. A Christian Bale è toccato il ruolo più difficile, quello dell’agente Melvin Purvis, di cui nulla si sa, se non della sua infaticabile caccia senza quartiere alla criminalità, caldeggiato dalla smisurata ambizione di Hoover. Bale offre una prova più che convincente come sempre misuratissimo ed efficace. Purvis morirà suicida diversi anni dopo. I costumi di Coleen Atwood e le scenografie di Nathan Crowley sono brillantissime nella ricostruzione d’epoca,la colonna sonora di Elliot Goldenthal si avvale della voce strepitosa di Billie Holiday e di quella di Diana Krall, nonché delle note folk di Otis Taylor

 

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati