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M, il mostro di Düsseldorf

Regia di Fritz Lang vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su M, il mostro di Düsseldorf

di vermeverde
10 stelle

Il protagonista del film, ispirato dalla reale vicenda di Peter Küsten nel 1929, è un “serial killer” morbosamente attratto dalle bambine che con le sue tristi imprese terrorizza la città di Düsseldorf. Tuttavia, nonostante l’argomento della vicenda, più che un film poliziesco (o un antesignano del noir con il quale ha punti di contatto) lo considero, piuttosto, un film politico (non a caso il grande attore ungherese Peter Lorre, che impersona il mostro Franz Becker, lavorò con Brecht).

È sintomatico, infatti, che la caccia all’assassino sia condotta da forze organizzate e contrapposte: da un lato la polizia che con i suoi metodi “scientifici” è soprattutto interessata a ristabilire l’ordine e dall’altro una criminalità organizzata e gerarchizzata (alleata con i mendicanti), preoccupata che le indagini compromettano le proprie attività illegali; in mezzo, la gente comune, controllata dalla polizia e sfruttata dai criminali. Notevole, qui, l’uso del montaggio parallelo a mostrare la concomitante caccia al mostro di polizia e delinquenti.

Alla fine, sono i criminali a catturare l’assassino, individuato da un mendicante cieco che riconosce il motivo fischiettato dal killer (dal “Peer Gynt” di Grieg), dopo un serrato inseguimento concluso da un drammatico assedio notturno in un palazzo di uffici. Qui si mostra tutta la fragilità umana, magnificamente interpretata da Peter Lorre, di Becker, il suo terrore, la sua disperazione e i vani tentativi di evadere dal ripostiglio dove è stato accidentalmente rinchiuso.

Il culmine artistico del film che ne esplicita il significato, splendido esempio di cinema espressionista, è la scena finale del “processo” al mostro organizzato dai malavitosi autonominatisi giudici con l’intenzione di renderlo innocuo, cioè eliminandolo: è una chiara premonizione di ciò che farà il nazismo pochi anni dopo per salvaguardare la purezza della cosiddetta “razza ariana”. La difesa di Becker, resa da Peter Lorre con una recitazione esagitata volutamente sopra le righe, sviscera la sua contraddittoria personalità di uomo comune paradossalmente vittima di sé stesso, del suo irrefrenabile impulso a commettere efferati omicidi dei quali poi lui stesso non sa spiegarsi di come sia riuscito a commetterli, quindi di essere un malato non cosciente delle proprie azioni. Il sedicente difensore d’ufficio di Becker esprime quello che sembra il pensiero del regista, cioè che lo Stato ha il dovere di provvedere a curarlo e quindi di impedirgli di commettere altri crimini: soprattutto, che nessuno al di fuori delle istituzioni dovrebbe arrogarsi il diritto di giudicare e di condannare.

M è un capolavoro assoluto, sia per la resa stilistica che per l’importanza del tema trattato, e rimane uno dei film più belli  ed importanti della storia del cinema.

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