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Precious

Regia di Lee Daniels vedi scheda film

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Paul Hackett

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La recensione su Precious

di Paul Hackett
6 stelle

Precious ha 16 anni, non sa leggere né scrivere, è fortemente obesa, vive in un ghetto in uno stato di povertà e abbandono, ha una madre che le scatena contro le sue frustrazioni e subisce gli abusi del padre dal quale aspetta un secondo figlio dopo una bambina nata con la sindrome di Down. Non bastasse questa rassegna di sventure a conferire un tono drammatico alla sua storia, la sorte le riserverà ancora altre amare e terribili sorprese ma, grazie ad una insegnante di una scuola speciale e ad una assistente sociale, ritroverà la voglia di vivere e la forza per andare avanti. Tratto dal romanzo d'esordio di Ramona Lofton, meglio nota col nom de plume di Sapphire, "Precious" è un presuntuoso melodramma "all black", furbescamente realizzato in un'estetica volutamente "sporca", profondamente ricattatorio nel suo colpire dritto allo stomaco dello spettatore per suscitare una inevitabile commozione e con il vezzo intellettuale e la non troppo recondita ambizione di porsi nel solco del neorealismo italiano, come si evince chiaramente dalla citazione (nemmeno troppo congrua) de "La ciociara" di Vittorio De Sica. La trama del film (e del romanzo) ha diversi punti in comune con "Ladybird Ladybird" di Ken Loach, ma trovo interessante rilevare alcune profonde differenze con il capolavoro del regista inglese: nel mettere in scena la terribile vicenda di Maggie, a Loach, pur non tacendone le responsabilità personali, interessa denunciare le iniquità sociali alla base dei problemi della protagonista e l'incapacità di una burocrazia fredda e cinica di aiutare una donna in difficoltà a risolvere i suoi umanissimi guai, riuscendo a trovare solo l'insensata soluzione di toglierle i figli che di volta in volta partoriva. Il suo film diveniva così un forte e potente atto d'accusa e una sorta di manifesto politico democratico in netta ed irriducibile opposizione alla guida conservatrice della Tatcher prima e di John Major poi. Il punto di vista di "Precious", invece, è profondamente diverso: il film di Lee Daniels, paradossalmente, è una vera e propria celebrazione dell'American Way of Life: le responsabilità sono sempre e soltanto degl'individui, geneticamente (?) brutti, sporchi e cattivi, non sono mai del "sistema" che, anzi, interviene efficacemente con i suoi (invero improbabili) funzionari (l'insegnante di sostegno in odore di santità, la "simpatica" assistente sociale) a coadiuvare il percorso della sfortunata Precious verso l'emancipazione. Il romanzo dal quale il film è stato tratto è del 1996 ma incarna perfettamente lo slogan elettorale di Barack Obama ("Yes, we can") e, con ottimismo lodevole ma fin troppo ingenuo, sembra voler ricordare che l'America è pur sempre il paese delle opportunità e che anche una ragazza di 16 anni che non ha un soldo in tasca e due figli da mantenere possa magari frequentare l'università e farsi strada nella vita (e qui evito di commentare). Se consideriamo, poi, che alla produzione del film c'è Oprah Winfrey, l'onnipotente e scaltrissima regina dei talk show americani (una specie di Maria De Filippi elevata all'ennesima potenza), il sospetto che si tratti di un'operazione abilmente orchestrata a tavolino diventa una quasi certezza. Con questo non voglio dire che "Precious" sia un mero bluff: la pellicola è per molti versi apprezzabile, quantomeno per il coraggio di proporre temi non esattamente "facili", per la buona regia di Lee Daniels (che attendiamo con curiosità a prove che ne confermino le capacità) e per l'eccellente prova dell'intero cast, dalla protagonista Gabourey Sidibe (venticinquenne all'esordio, altro che 16 anni!) alla bravissima Mo'nique (nel ruolo più difficile di tutti, quello della madre snaturata), dalla elegante e raffinata bellezza di una intensa Paula Patton fino all'aspetto dimesso e completamente "de-glitterizzato" di una quasi irriconoscibile Mariah Carey, coraggiosa nel proporsi "al naturale", senza gli orpelli del suo divismo e con le sue notevoli grazie mascherate da maglioni e abiti sformati (e, a proposito di pop star, nell'ampio cast troviamo anche un non troppo espressivo Lenny Kravitz, in fin dei conti figlio d'arte, visto che la madre era la compianta Roxie Roker, meglio nota come Helen Willis, una dei protagonisti dell'indimenticabile sit-com "I Jefferson"). In definitiva un buon film ma che, nell'insieme, per quanto mi riguarda, non va oltre le tre stelle.

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