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State of Play

Regia di Kevin Macdonald vedi scheda film

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La recensione su State of Play

di maurizio73
6 stelle

Combattivo e irriducibile giornalista d'assalto del Washington Globe deve condurre, insieme ad una giovane e rampante collega, una difficile inchiesta che vede coinvolto un suo amico deputato a capo di una commissione del congresso che indaga su una potente compagnia di sicurezza privata concessionaria di miliardari appalti governativi. Tra omicidi misteriosi, pericolose lobbies guerrafondaie, conflitti privati e pubbliche virtù dovrà ricomporre il difficile bandolo di una matassa intricata e inestricabile in cui vittime e colpevoli non sembrano stare necessariamente da una sola parte del campo di battaglia.
Dal soggetto di una famosa (almeno in patria) serie televisiva targata BBC, il regista britannico Kevin Macdonald ('Un giorno a settembre' - 1999 e 'L'ultimo re di Scozia' - 2006) trae un efficace dramma giornalistico che, se presta il fianco alle rocambolesche inverosimiglianze di una sceneggiatura dove il colpo di scena è perennemente in agguato, dall'altro guarda alla solidità dei modelli hollywoodiani di riferimento ('I tre giorni del Condor', 'Tutti gli uomini del Presidente', 'Quinto Potere') capaci di coniugare suspence e impegno civile, protagonismo attoriale ed impeccabili caratterizzazioni, scrittura a più livelli e ritmo serrato, non mollando mai la presa da una materia narrativa (chi ha fatto cosa) in cui il primato inalienabile del 'primo emendamento' (concetto molto lato nel mondo anglosassone) è il motore dinamico che anima la scena fino all'implacabile rotativa dei titoli di coda. Nell'artificiosa contrapposizione (questo è il limite strutturale di tutto il cinema di genere) tra l'impavido eroismo dei buoni e le infingarde ambiguità dei cattivi (le lobbies?la politica? i blogger? gli esecutori materiali? la lista è lunga e non sembra bastare mai) McDonald ci conduce lungo il tortuoso e implacabile processo di conoscenza di una verità giornalistica che non si ferma all'apparenza dei luoghi comuni, ma si addentra nei recessi insondabili di vite private mai troppo specchiate e trasparenti (financo la 'liaison' tra giornalista e consorte fedifraga del deputato infedele) per cercare la soluzione là dove nessun cronista era mai giunto prima e articolando la tesi di una responsabilità a più livelli (dai massimi sistemi alle beghe private), ma finendo per indebolire, in un finale di stagiste incinte e spie 'pseudo-dormienti', un meccanismo di implacabile conseguenzialità, laddove ci saremmo volentieri accontentati della semplice equazione soldi=potere=crimine. A parte i limiti ideologici dell'operazione (che forse risente del plot episodico della miniserie da cui è tratto) e quelli ancor più evidenti di congruenza (coerenza direbbe il puntiglioso e pragmatico giornalista impersonato dal corpulento attore australiano) narrativa, è comunque un film godibile sul versante dell'intrattenimento e della suspence, e dove si assiste al solito 'parterre d'heroes' tra buoni comprimari (Rachel McAdams, Ben Affleck e Robin Wright Penn) e 'all stars' (Russell Crowe ed Helen Mirren) impegnati nella solita gara di bravura (vince Crowe ai punti ma solo perchè ha più scene a disposizione). Solo adombrati (ma forse il soggetto è 'di parte') il ruolo di manipolazione giocato dai mezzi di informazione che altrove pare emergere con più chiarezza. Alla fine una sola domanda sullo 'Stato dell'Arte' tra giornalismo e finzione cinematografica: ma blogger e testate on line non dovevano soppiantare definitivamente la carta stamapata? Ai posteri l'ardua sentenza!

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