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State of Play

Regia di Kevin Macdonald vedi scheda film

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La recensione su State of Play

di mc 5
8 stelle

Davvero un bel thriller, robusto e appassionante, questo "State of play". Il regista Kevin Macdonald poi, doveva farsi perdonare il suo film precedente (se escludiamo i documentari), cioè quell' "Ultimo re di scozia" (ritratto del dittatore Amin Dada con Forest Whitaker), che fu dileggiato e vilipeso dalla gran parte dei critici (pensa un pò che invece a me quel film era piaciuto tanto!). Il montaggio è serrato e sapiente come si conviene ad un buon film di suspense. Il protagonista è un fior d'attore (ma di questo parlerò più avanti). Ma soprattutto quello che mi intriga è ciò che fa appartenere il film a quella categoria cosiddetta "thriller d'impegno civile", la classica situazione dove un giornalista s'improvvisa detective scoprendo altarini decisamente superiori alla sua portata, roba che scotta, materiale da maneggiare con cura. E i nomi di riferimento è perfino superfluo farli, sono sempre quelli, dai "Tre giorni del condor" a "Tutti gli uomini del presidente" ma anche titoli più recenti come "The manchurian candidate". Bello e ben scritto, questo personaggio del protagonista, un giornalista vecchio stile, di quelli che ancora conoscono il significato della formula "giornalismo investigativo", dunque l'opposto di quelli che stanno da mattina a sera incollati al pc prendendo per oro colato tutto quello che arriva dallo schermo e assumendolo senza prima verificare. Il nostro Cal McAffrey lavora col computer, ma senza esserne dipendente, utilizzandolo solo quando è proprio indispensabile, non come la giovane blogger Della Frye, che lo affianca nel caso oggetto di indagine, la quale invece si occupa della versione online dello stesso quotidiano e quindi osserva le cose da un'altra prospettiva. Fra Cal e Della, non è subito idillio professionale, anzi all'inizio i due si guardano reciprocamente con diffidenza e sospetto, perchè ad emergere sono solo i fattori che potenzialmente li dividono. Ma poi quando scoprono che ad accomunarli sono la tenacia e la passione per il mestiere di giornalista, si afferma tra i due una solida complicità. Il pericolo era quello di idealizzare in eccesso (anche in senso retorico) la componente virtuosa del protagonista. E invece, credo, non si esagera mai quando si evocano figure di giornalisti che hanno fatto dell'integrità morale e professionale la loro bandiera. E ne sappiamo qualcosa noi che abbiamo appena visto un film come "Fortapàsc" di Marco Risi, che ad uno di quei giornalisti era dedicato con trasporto ed emozione. Mi rendo conto che il pericolo di sfiorare la retorica è sempre dietro l'angolo, ma, davvero, in questi tempi in cui ogni settore della società è in crisi, e in cui corruzione ed abusi di potere trovano fertilissimo terreno, la responsabilità di chi ci tiene informati è qualcosa da far venire i brividi tanto essa è determinante e pesantissima: con tutto ciò che a questo è correlato, dalla verifica delle fonti informative alle censure imposte dai politici per loro convenienza (vedi leggi restrittive sulle intercettazioni!!). A questi problemi si aggiungono poi quelli tecnici derivati dai meccanismi economici, tipo le forzature di un mercato pubblicitario perverso e squilibrato che nessuno pare voglia regolare, oppure la fibrillazione per il costante timore che il giornalismo online sorpassi quello cartaceo, di fatto condannandolo al declino. Insomma non c'è bisogno di ribadire quanto il giornalismo sia oggi più che mai nell'occhio del ciclone. E soprattutto per quanto attiene ai suoi rapporti col Potere Politico, tema principale di questo bel film. Il nostro Cal parte da uno strano omicidio (messo in scena con una bella tensione emotiva nell'incipit) che subito mostra parecchi lati oscuri. Non è qui il caso di raccontare come si dipanano gli eventi, rovinando così il gusto della visione. Mi limiterò dunque a descrivere lo sfondo e i personaggi Abbiamo la redazione del "Washington Globe" che, oltre ad essere la location primaria, assume il ruolo di vera protagonista del film. Dentro quelle mura si consumano decine di riunioni e briefing, per lo più tese e concitate, che vedono protagonisti i due giornalisti citati e il Direttore della testata, una donna piena d'energìa, nervosa, iraconda, autoritaria, ma comprensibile nella sua acidissima grinta, in quanto deve rispondere di ciò che il giornale pubblica non solo ai lettori ma anche ai suoi editori, coi quali il rapporto è sempre difficile e delicatissimo. Poi abbiamo un giovane politico in carriera, il quale, pur essendo moralmente più integro di tanti suoi disinvolti colleghi, ha anche lui qualche errore chiuso dentro l'armadio, errori che qualcuno vorrebbe ora utilizzare per fargli uno sgambetto e troncargli la carriera. Ma poi c'è la presenza più scura, inquietante e minacciosa...ed è qualcosa di inafferrabile, ciò che la rende subdola e detestabile. Sto parlando di una "struttura" complessa, dotata di numerose estensioni e ramificazioni quanto mai nebulose, praticamente un gruppo che gestisce soldati mercenari ed ex-militari professionisti. E apparentemente lo fa in modo legale, ma di fatto utilizzando una serie infinita di scatole cinesi che comprendono lobby e società d'affari impossibili da individuare e verificare. Mi fermo qui con la narrazione, anche perchè ritengo che quanto ho appena scritto faccia emergere a sufficienza tutto il fascino di un plot scritto per essere seguito con attenzione e con passione. Il film è seducente nel suo evolversi palpitante, ma tuttavia segue ritmi narrativi umani, non è adrenalinico, ha i sacrosanti momenti in cui i giornalisti, prima di agire, discutono per preparare dei piani; dico questo anche per chiarire che chi si aspetta un thriller fatto solo di inseguimenti e sparatorie, qui non troverà pane per i suoi denti. Ma è giusto sia così, perchè questo è anche un film che fa riflettere (e riflette!), dunque ha i suoi tempi, che esigono rispetto, se si vuole davvero farsi coinvolgere. Da segnalare, anche perchè in giro se ne è parlato pochissimo, che gli sceneggiatori si sono avvalsi delle consulenze di alcuni specialisti di trame politico/finanziarie, quali Peter Morgan ("Frost/NIxon" e "The Queen") e Tony Gilroy ("Michael Clayton"). La formuletta ricorrente "attori in stato di grazia" stavolta è davvero giustificata. Un Russell Crowe così in forma non lo si vedeva da tempo, veste i panni (abbondanti di taglia!) di Cal come fossero quelli suoi naturali, e ha qui un modo di recitare così spontaneo e "easy" che strappa l'applauso. Rachel McAdams è carina, deliziosa e bravissima (io l'ho conosciuta nel ruolo di una terrorizzata passeggera d'aereo minacciata da un luciferino Cillian Murphy in "Red eye" di Wes Craven...). Ben Affleck è sicuramente quello più visibilmente sottotono, mah, forse è solo messo in ombra dal "gigante" Crowe...Helen Mirren ci ha abituato a un tale standard di recitazione che per quanto mi riguarda per ogni pellicola che interpreta meriterebbe un Oscar!! Robin Wright Peen riveste qui un ruolo modesto, ma sufficiente a far risaltare la sua consueta classe di donna piena di fascino ed eleganza. Ah, mi stavo dimenticando di uno dei più bravi attori americani in circolazione: Jason Bateman, qui addirittura strepitoso. E per ultimo un mio beniamino, un attore che da tempo immemore si è guadagnato il mio affetto: Jeff Daniels, perfetto nel ruolo di un politico dalla doppia faccia che, ad un certo punto, vediamo impegnato in un breve ma burrascoso dialogo con Crowe, nel corso del quale Daniels esibisce un atteggiamento ambiguo/minaccioso che mi ha preso moltissimo. E tanti auguri a Jeff per la sua attività collaterale di cantautore che sta procedendo a gonfie vele! Riassumendo: storia appassionante e cast formidabile. Decisamente, un film dell' "era-Obama".
Voto: 9

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