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La lunga notte del '43

Regia di Florestano Vancini vedi scheda film

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La recensione su La lunga notte del '43

di lamettrie
6 stelle

Un film dai due volti: splendido quello storico, da nove; penoso quello sentimentale, da tre, che appesantisce oltremodo la trattazione, soprattutto nella prima parte.

La seconda parte è l’unica valida, e quindi occorre avere pazienza fino a lì. È quella più incentrata sulla denuncia storica del fascismo, che qui riceve una raffigurazione realistica di primissimo livello: cronaca, documentario e finzione si fondono magistralmente. Questo è uno dei migliori manifesti antifascisti, per come mostra, dell’unico totalitarismo che abbiamo conosciuto sulla nostra pelle, la violenza bestiale e ignorante, che impedisce ogni umanità e ogni diritto, e la tendenza invincibile alla menzogna, ancora più squallida se confrontata con quella sua retorica ossessiva della virtù.

Cervi interpreta alla perfezione il capo squadrista: costui è laido fin nelle viscere. Fa uccidere il gerarca per prenderne il posto accusando altri, cioè chi gli fa comodo uccidere, cioè i più accaniti antifascisti. Due piccioni con una fava, il classico delitto di stato degno di un uomo perennemente falso e calcolatore, che trasuda rispettabilità solo di facciata e opportunismo, mali tipicamente fascisti e italiani (anche se di opportunisti è abbondata anche l’Italia sedicente antifascista).

Uno degli aspetti che nuoce al film è che tutti i personaggi sono squallidi. Forse ciò interessava a chi ha scritto quello che è divenuto poi soggetto, il noto scrittore Giorgio Bassani, ferrarese come il regista Vancini. Ho sempre pensato che fosse straordinariamente sopravvalutato come scrittore Bassani. È davvero poco credibile questa visione del tutto pessimista, che i protagonisti sono schiacciati da tragedie, e che soprattutto riescono a rispondervi solo in modi disonorevoli.

Basti pensare al triangolo amoroso.

La splendida Anna fa schifo per come ammette di non poter far altro che abbandonare il marito, perchè questi è invalido. Deplorevolissima è la sua accusa: non posso stare conte perché hai una malattia schifosa (anche se poi ha ragione nel contestare la pusillanime acquiescenza del marito in favore dei fascisti). Intanto questo marito non si rende odioso ai suoi occhi, ed è solo pesante per la sua disgrazia, il che in parte ci può stare. Inoltre si intuisce che a lei il marito, prima di ammalarsi, andava bene almeno per i soldi, con quella farmacia così ben avviata.

Il marito poi non è tanto criticabile con lei, ma è  sua volta non meno deprecabile in generale: ha un passato da squadrista, e fa finta di chiudere gli occhi di fronte agli assassinii fascisti di cui è testimone, in particolare per le minacce subite dal ras Cervi: non ha dignità.

Altro personaggio fallimentare è l’amante di Anna: alla fine scaccia l’amante stessa, che si era compromessa comunque in modo sincero con lui che prima l’aveva corrisposta appieno. Egli scappa, e prima non fa nulla per salvare il padre dai fascisti. Quando torna a Ferrara 17 anni dopo, è accondiscendente nei confronti di colui che sa essere l’assassino del padre, quel ras Cervi da cui si fa umiliare, accettandone i falsi salamelecchi di circostanza, e che invece avrebbe dovuto trattare con profondo disprezzo.

E che, nella miserrima Italia democristiana, quella anche del boom, nel ’60, il ras pluriomicida sia ancora libero, per di più forse benestante,  bello come il sole, è un ulteriore saggio di finezza storica. E del pregio della ricostruzione storica va comunque dato in gran parte atto allo stesso Bassani.

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