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The Reader. A voce alta

Regia di Stephen Daldry vedi scheda film

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La recensione su The Reader. A voce alta

di mc 5
8 stelle

E continuando in questa pioggia di (bei) film candidati agli Oscar (ma deve ancora arrivare "The wrestler") ecco finalmente l'atteso "The reader". Che, diciamolo subito, è un bel film. Anche se parecchi hanno rilevato l'incongruenza di una candidatura al prestigioso premio da parte di Kate Winslet per questo film anzichè per il forse più degno "Revolutionary road". Per quanto la Winslet sia anche qui magnifica, in questo ruolo complesso di donna-mostro che custodisce un segreto inconfessabile (per la verità due: uno se vogliamo lieve ma che le condizionerà l'intera esistenza e l'altro, invece, atroce). Preferisco evidenziare subito il tasto dolente, intorno al quale sono nate già diverse perplessità. C'è un'ombra, infatti, che grava su questo film. Esso è diretto con stile classico ed efficace da Stephen Daldry ed è interpretato -come si diceva- da una splendida Winslet che, con la sua immensa sensibilità artistica, riesce perfino quasi a mettere in ombra il pur bravo Ralph Fiennes (piccolo outing: non ho mai apprezzato molto quest'attore). Ma prima di affrontare il "pensiero ambiguo" che aleggia sul film, vediamo di sintetizzarne la vicenda. Un ragazzino si sente male per strada mentre piove a dirotto, e viene soccorso da una bella e misteriosa signora. Nonostante oltre una quindicina d'anni di età li separi, la donna inizia il ragazzo al sesso, e i due divengono amanti, alimentando un rapporto soprattutto fisico che non reclama troppe parole o troppe domande, salvo il vezzo che lei pretende da lui, ad ogni incontro, che le legga ad alta voce brani estratti da libri. Passano gli anni e nel frattempo i due prendono strade diverse. Lui, ora diventato studente di giurisprudenza, dovendo seguire per motivi di studio
un processo a donne ex-carceriere ad Auschwitz, riconosce in una di queste imputate Hanna, colei che lo iniziò all'amore. Le colpe contestate a quelle donne sono orribili: aver scelto persone anziane, fragili, indifese, per destinarle allo sterminio. Di fronte a crimini indicibili come questi, i giovani studenti del seminario, fra cui il nostro Michael, hanno reazioni emotive molto intense, che poi sono quelle di tutta una Germania che ha dovuto fare i conti con la più grande tragedia dell'umanità. E' un tema molto pesante, quello di una Nazione condizionata da questa sorta di peccato originale che forse non sarà mai mondato del tutto, nonostante le (tardive) prese di coscienza e le sofferenze intime generate dai ricordi, tanto è disumano il senso di ciò accadde.
C'è un grido rabbioso e devastante di uno di quei giovani studenti che esprime quello che non si può esprimere, che fa male, che rende ancora più insopportabile l'eredità di quel passato, e che pretende una risposta chiara dalla Storia e dagli Uomini: "Perchè, SE TUTTI SAPEVANO, tutto ciò è potuto accadere?". E' una domanda pesante come centomila macigni, e che nel film assume un'importanza centrale. Però (ed è difficile da capire per chi non ha visto il film) c'è nelle pieghe della vicenda uno spirito che si insinua qua e là nella sceneggiatura e che pare (ma attenzione, la faccenda è controversa, i pareri sono differenti) voler umanizzare Hanna oltre il lecito, non certo giustificarla, ma in qualche modo "comprenderla". La parola "revisionismo" mi pare del tutto fuori luogo, eppure, a dire il vero, quando nel 1995 fu pubblicato il romanzo da cui il film è tratto, proprio il revisionismo fu una delle accuse più frequenti di cui l'opera fu fatta oggetto, suscitando reazioni polemiche molto accese. E' un discorso delicato quanto controverso. Ciascuno di noi giudicherà questo aspetto del film secondo la propria coscienza. Per quanto mi riguarda, faccio mio l'interrogativo disperato di quello studente, anche se so bene che la Risposta non arriverà mai perchè la malvagità umana ha mai spiegazioni razionali. E così il Dubbio resta, immane come la tragedia che esso evoca. E cioè: come può un intero Paese permettere uno sterminio. Come possono tacitarsi milioni di coscienze. Tuttavia, io nemmeno mi sentirei di amplificare dubbi o lanciare strali all'indirizzo di Daldry, il quale ha raccontato in modo esemplare una storia difficile, facendo emergere la personalità di Hanna in tutte le sue sfaccettature (grazie ad un'attrice superba questo è stato possibile). Come a tirare le somme (o voler chiudere un cerchio) alla fine ci viene mostrato un lungo colloquio tra Michael e una signora ex-internata sopravvissuta ad Auschwitz. Ecco, quel confronto è molto bello, vibrante d'emozione, e consiglio a chi ancora non ha visto il film di seguirlo con attenzione. L'atteggiamento di questa signora è esemplare; sereno ma fermo; senza rancore ma definitivo ed irremovibile; pacato ma solidissimo e granitico. Di fronte ad un Michael imbarazzato e titubante, ancora combattuto fra dubbi e domande, lei oppone un pensiero fiero e senza sbavature, quando gli dice con una chiarezza ineccepibile che se lui cerca una propria catarsi si può scordare di trovarla ripercorrendo i luoghi dell'olocausto. Si tratta di un'opera di cui all'inizio non si percepisce tutto il peso e il valore, è qualcosa che cresce strada facendo. Mentre il personaggio di Michael rientra tutto sommato nei canoni del protagonista del "romanzo di formazione" (almeno per buona parte del film), molto più complesso è il ruolo di Hanna, personaggio sfuggente, di cui non percepiamo mai un aspetto limpido ed univoco; un personaggio che pare quasi affrontare i problemi scegliendo sempre la soluzione più scomoda. Proprio come quando, nel momento cruciale del processo, mentre le sue ex-colleghe guardiane negano ogni addebito rimediando solo pochi anni di galera e convogliando ogni accusa sulla stessa Hanna, ella anzichè dare in escandescenze, accoglie ogni colpa su di sè con una strana forma di candore, come se cercasse un riscatto attraverso un'espiazione "totale", comprese le colpe altrui. E qui sta il punto nevralgico, poichè in questo modo Hanna, da un punto di vista drammaturgico, subisce una sorta di trasfigurazione da omicida a martire, il che potrebbe condurre il lettore del romanzo (o il fruitore del film) verso territori improponibili. Siamo di fronte ad una persona che ha provocato (a suo ingenuo dire per senso del dovere) la morte di centinaia di poveri cristi: e che diamine, come può un autore delinearne i contorni di una poveretta in cerca di sofferta redenzione? Quindi, tirando le somme, non ci sono elementi sufficienti per poter definire l'autore dell'opera tout court "un revisionista", ma -da un punto di vista letterario- possiamo ritenere il suo atteggiamento "tendenzioso" ed acondiscendente verso un personaggio che non merita tutta questa compassione. Il personaggio di Michael è interpretato nella sua età giovanile da un attore bravo ma con un aspetto un pò da bietolone crucco (anzi: da "bietolino"...) che non è esattamente il massimo. Nella fase adulta subentra invece l'esperienza di Ralph Fiennes, bravo finchè si vuole, nessuno lo mette in dubbio, ma -come ho prima confessato- si tratta di un attore verso il quale non ho mai riscontrato vera empatìa. Ma l'interpretazione di Kate Winslet -strepitosa e sublime- vale da sola il prezzo del biglietto. Quel suo volto a tratti smarrito è un'apoteosi di talento d'Attrice. Kate è una fuoriclasse che qui si mette -letteralmente- a nudo esibendo oltre al suo corpo, soprattutto un viso privato di ogni trucco, una maschera di verità, scarno e scarnificato, nella sua essenza più tragicamente vera. Del resto, la Winslet e la Blanchett, rappresentano oggi il massimo che il cinema può chiedere a un'attrice. Concludendo, un film ben poco spettacolare, e ben poco alla ricerca di consenso popolare, anzi ruvido ed aspro, e che tuttavia ha avuto la giusta promozione (com'è giusto che sia), con pagine intere comprate sui quotidiani e programmato in un discreto numero di sale e multisale. Adesso aspettiamo il responso del botteghino. Anche se, inevitabilmente, si tratta pur sempre di un piccolo film schiacciato fra decine di commediole sceme con ochette che fanno shopping e thriller ipertecnologici gonfiati agli estrogeni. Un dettaglio per chiudere. Un dettaglio tecnico ma soprattutto affettivo di grande importanza. Questo film è stato fortemente voluto da due grandi cineasti che purtroppo ci hanno lasciato prima che l'opera fosse completata e distribuita: Anthony Minghella e il mio adorato Sydney "zio" Pollack.
Voto: 9/10

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