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Bastardi senza gloria

Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film

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La recensione su Bastardi senza gloria

di ROTOTOM
10 stelle

 
Inglourious Basterds, scritto così come si pronuncia nella lingua imbastardita di Quentin Tarantino, con la "e" ad annichilire la lingua del Bardo. Titolo di un cinema filtrato reimpastato copiato masticato e risputato sulla tela bianca dello schermo, cinema bastardo figlio di tanti pezzi di cinema cuciti a formare un’unica creatura ultraterrena. La storia del cinema lanciata a folle velocità su di un rettilineo si scontra con la Storia ferma lì negli almanacchi e nell’iconografia che la memoria accetta come archetipo consolidato. Sembra la scena di Grindhouse - Deathproof  questo film, due auto che si schiantano cambiando in un secondo le fattezze degli occupanti, mischiandone i fluidi tra i cocci e le lamiere.
Western ucronico tirato a lucido da una scrittura sublime e da una trasposizione in immagini che pesca dall’immaginario cinematografico intimamente nascosto, sedimentato e fatto proprio da ciascun spettatore, le parti migliori, le scene che –inconsapevolmente- hanno trasformato in appassionati di cinema i bambini che assistevano estasiati ai film di guerra, ai cowboy contrapposti agli indiani, alle comiche, l’epica di un cinema che si proponeva di essere solo ed esclusivamente cinema divenendo mito. Che Tarantino copi è assodato ma se copiare da un testo è plagio e da tanti è ricerca, reinventare l’immaginario cinematografico collettivo è magia. Perché dopo tutto Quentin Tarantino è un bambino che non si è accontentato di nutrirsi di pane latte e cinema, ma ha impastato il tutto nel suo personalissimo pane quotidiano servendolo caldo e fumante, fragrante di felici tempi passati a tutti quelli che all’affabulazione cinematografica hanno dedicato almeno un pezzetto della propria vita.
C’era una volta la Francia occupata dai nazisti, Per Elisa che si scioglie in una tensione melodica alla Morricone mentre sventola un panno al sole e dietro una carovana –di nazisti- dà inizio al film.
C’è Hitler ritratto a macchietta con il suo fido Goebbels che muore in un cinema dopo aver visto su schermo l’immagine della propria fine.
In mezzo si rifà la Storia, si imbastiscono menzogne raccontate talmente bene che quasi quasi ci si crede, si schiantano i personaggi chiave della seconda guerra mondiale (Hitler; Goebbels, Churchill) deformando la loro mitizzazione in caricature cartoon ma al contempo funzionali alla vicenda. Si creano personaggi ad hoc grotteschi, tirati sui bordi a esaltare le caratteristiche che più servono a coinvolgere lo spettatore nel grande spettacolo del cinema.
 Divisione in capitoli ma senza la destrutturazione temporale di Pulp Fiction, doppia trama lineare a convergere in un unico punto ma non così esile come in Grindhouse-Deathproof.
E poi parole parole parole, lunghe sospensioni temporali in cui la parola prende il sopravvento accumulando la tensione in un punto di non ritorno che rilascia in brevissimi istanti una furibonda violenza. E’ come essere in apnea, poi si risale a respirare e di nuovo giù.
In mezzo c’è anche tantissimo cinema, mitizzato, copiato, rifatto, omaggiato. Attori che si atteggiano a spie e spie che si fingono attori, si discute di critica cinematografica mentre si progetta l’assassinio di Hitler,  mentre la fine è nel cinema, la fine del Male grazie al sacrificio di sogni srotolati in chilometri di pellicola pronti a bruciare. Così mentre i nazisti godono nel vedere il loro film di propaganda che altro non è se non la cronaca di un massacro, noi spettatori godiamo a nostra volta nel registrare il loro massacro e su tutti Quentin gode a vedere quanto il suo cinema sia identico al pubblico a cui è destinato.
Non credo che il fine ultimo di questo film sia la compulsiva ricerca di tutte le citazioni, esercizio mnemonico onanistico fine a se stesso, quanto la consapevolezza che col cinema si può giocare e fare ciò che si vuole senza ottemperare a nessun obbligo se non quello di essere coerenti.
Tarantino lo è e nella sua ontologia, nei suoi mondi possibili, può starci tutto ciò il cinema richiede per esercitare il suo potere. Scrittura, messa in scena, musica, montaggio  tutto il linguaggio cinematografico è al servizio di un’idea potente e unica non importa l’adesione verosimile alla realtà. Ogni momento del film, ogni scena ha un suo senso proprio, esclusivo e al contempo una plausibilità bislacca all’interno della vicenda raccontata, pezzi di grandissimo cinema che creano un immaginario potente fatto di personaggi profondi, situazioni studiate al millimetro, colpi di scena a ripetizione che non allentano mai la tensione, dialoghi che nessuno si sognerebbe mai di sostenere ma che lì, in quel contesto, in quella situazione, in quel mondo creato ad arte da un dio buffo e crudele sembrano gli unici dialoghi possibili. Così ci sta il gruppo di bastardi capitanati da un grande Brad Pitt, Aldo Raine “L’apache” e il suo mascellone volitivo; ci sta l’immenso Christoph Waltz colonnello Hans Landa, un Poirot gentile e profondamente acculturato quanto violento e spietato manipolatore di menti (giustamente premiato a Cannes come miglior Attore). Ci sta anche il solidale Eli Roth “l’orso ebreo” armato di mazza da baseball. E le femmine fatali, determinate, volitive: Diane Kruger diva del cinema espressionista e la francese  Melanine Laurent – Shoshanna scampata al massacro della sua famiglia ritratta come in un videoclip anni 80, vestita di rosso fuoco mentre ordisce il massacro dei gerarchi nazisti insieme al suo compagno di colore, protezionista.
Film meraviglioso, Inglourious Basterds, da vedere in assoluto in lingua originale per godere delle performance degli attori recitare in più lingue, italiano “siculo” compreso.

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