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Lolita

Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film

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Stefano L

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La recensione su Lolita

di Stefano L
8 stelle

In questo pregevole adattamento di "Lolita" Kubrick è stato piuttosto zelante nel difficile compito di fondere perspicacemente l'eros cautamente calcolato del libro e l'ilarità nera della prosa, curata dalla penna dello stesso romanziere; le disgrazie lasciano lungo respiro alla verve grottesca, senza appesantire il materiale narrativo della fonte. La mésse è difatti una brillante rielaborazione filmica sostenuta dall’accattivante alchimia tra Sue Lyon, intemperante quattordicenne perfettamente calata nella parte, al centro dell’attenzione tra un’indole innocente e quella della più stereotipata femme fatale, e James Mason ("Hum" Humbert), l'icastico, eloquente, deus ex machina del lungometraggio; austero, eppure dalla spontaneità autentica, un attore la cui bravura giovò in maniera non indifferente allo sviluppo dello script, capace di attribuire il pathos (e la voluttà di Humbert) necessario a rendere la trama credibile e, nell’acerbo epilogo, le dovute razioni di suspense (suggestiva la sua interpretazione dell’esplosione di follia in ospedale). Peter Sellers (Clare Quilty) in realtà non ha avuto tantissimo spazio, ciò nondimeno quando è sulla scena si mostra sempre a suo agio in una mirabolante moltitudine di personalità, dal talent scout viscido allo psicologo tedesco (forse omaggio a Groucho Marx): non sbaglia un’entrata e invigorisce ancora di più la già compatta sceneggiatura (ovviamente il doppiaggio non è interamente risolutivo nell'esporre precipuamente le sue doti di trasformista). Meno gradita dalla critica Shelly Winters, la melodrammatica, caustica Charlotte, caratterista sopra le righe che probabilmente si è trovata in idiosincrasia dinanzi all’inflessibile direzione di Kubrick. In questo caso la chimica sembrerebbe sia funzionata meglio nei frangenti in cui si risalta il conflitto fra la ricerca di un nuovo compagno per smaltire l’isolamento e il rapporto complesso con la prole, debilitato dall’attitudine edipica della figlia, ove non ci si asterrà da dilettevoli ma un po’ monotoni battibecchi che rimarcano l'estroversa partecipazione della Lyon. Fa sentire invece una lieve penuria del plot l’assenza di un qualsivoglia "elemento sorpresa" che magari poteva attribuire alla trama meno prevedibilità nell’espansione delle sciagure raccontate; da notare, in ogni caso, che il preambolo iniziale rappresenta “la fine” del percorso introspettivo e passionale perseguito dal protagonista, da cui si risalirà alla genesi del sacrilegio. Questa è una scelta kitsch di un “poeta” della settima arte lontano dallo stile effettistico hollywoodiano, e pertanto risulta solo parzialmente discutibile. Kubrick, in definitiva, persuade (quasi) del tutto anche stavolta.

 

 

     

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