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Come Dio comanda

Regia di Gabriele Salvatores vedi scheda film

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La recensione su Come Dio comanda

di mc 5
6 stelle

E' con sincero imbarazzo che mi accingo ad una recensione che sarà improntata - lo dico subito- ad un sentimento di cocente delusione. Mi spiace dirlo, ma da Salvatores non mi aspettavo un passo falso, anche perchè poi la vicenda narrata è bellissima e suggestiva, ed il film racchiude momenti ed immagini di rara potenza. E allora cosa c'è che non va? C'è che il film è disequilibrato e non riesce a cogliere e a fissare la potenza devastante di una situazione di partenza, e inoltre pare non valorizzare nella giusta maniera due bravissimi attori come Filippo Timi ed Elio Germano, impiegandone il talento in modo maldestro. La vicenda, peraltro originale, intensa e coinvolgente, ci parla del legame ai limiti del morboso ed estremamente viscerale che lega un figlio ed un padre, quest'ultimo persona pericolosamente instabile, mentalmente precaria, immatura e violenta, guidata da foschi istinti razzisti e xenofobi, nonchè incline alla misoginìa. Insomma un uomo non in grado di gestire la paternità di un figlio adolescente, il quale, pur percependone chiaramente l'instabilità mentale, vede in lui un modello e l'unico rifugio dal mondo esterno. A dire il vero esiste la figura di un assistente sociale, ma è meglio lasciar perdere, perchè è un personaggio "scritto" coi piedi da una sceneggiatura che non gli attribuisce alcuna consistenza. Potremmo definirla, per quanto disastrata, una famiglia "allargata", poichè ai due si aggiunge una sorta di "scemo del villaggio", leso nel fisico e nella mente, che vive in un suo misero mondo immaginario popolato di presepi e di fantasmi di pornostar: una figura che è l'immagine perfetta della desolazione e del degrado. Ecco, questo è il materiale umano del film, del quale il minimo che si possa dire è definirlo "interessante". Ma è molto di più. In mezzo ai due protagonisti adulti, sta il ragazzo, il quale ha uno sguardo sul mondo che è puro ma anche pieno di rabbia e di speranza, combattuto com'è fra i due sentimenti che lo legano al padre: da una parte lo ama visceralmente e dall'altra non può non percepirne l'oscura cattiveria che ne intorbida la mente malata. Quanto poi a "Quattroformaggi", il mentecatto del paese, il ragazzo prova per lui un sentimento di tenera amicizia. Ripeto: con tra le mani una storia così esplosiva, è un peccato che Salvatores non ne abbia tratto un film memorabile. Quello che ho finora delineato non è che lo scenario del film, il suo inizio. Diciamo che una ragazza entra nella vicenda, portando una nota leggera, ma proprio da lì i fatti prenderanno una piega inattesa che si concluderà in un incubo tragico e straziante. Ovviamente non svelerò di più, dirò solo che il triste ed emozionante finale, nonostante il lungo episodio centrale trasporti lo spettatore alle soglie dell'orrore, vedrà rinsaldare, in un impeto di malinconica dolcezza, un rinnovato legame tra padre e figlio. Quest'ultimo, il giovane Cristiano, è impersonato dall'esordiente Alvaro Caleca, che è davvero una rivelazione: un ragazzo che sprizza talento e che supera la prova del debutto con un ruolo non certo facile e psicologicamente complesso. Prima di arrivare alle performance dei due protagonisti mi tocca fare un piccolo "outing". Avete presente quel notissimo mattatore, conduttore, comico e chi più ne ha più ne metta, che è Fabio De Luigi, che qui riveste il ruolo (banalizzandolo all'inverosimile) di un assistente sociale? Beh, mi spiace dirlo, ma lo considero l'artista più sopravvalutato del momento. Non sa di niente (se non di banalità) eppure è molto amato sia dagli spettatori più esigenti sia (da un paio d'anni a questa parte) anche dal pubblico delle multisale. E per me resta un mistero come questo individuo venga coccolato tanto da Stefano Benni quanto dai produttori dei più tremendi cinepanettoni. E veniamo ai due istrionici protagonisti. Filippo Timi è un grandissimo attore, nonchè una di quelle "facce" maldettamente intense che ti restano dentro. Oltretutto poi, Filippo ha alle spalle una curiosa e sofferta vicenda personale che me lo rende ancor più simpatico: oltre ad avere seri problemi di vista, da ragazzo era afflitto da una pesante balbuzie che lui, con tenacia, ostinazione e passione, è riuscito a superare. Qui interpreta questa personalità "malata" e devastata da fantasmi di violenza, un ruolo oggettivamente difficile cui Filippo dà tutto sè stesso. E la colpa non è certo sua se la "mano" che ha diretto il film non si rivela sempre all'altezza nel valorizzarne il talento. Che dire di Elio Germano se non che è l'attore italiano che tutti i registi vogliono (o vorrebbero) ? Attore super versatile, che però a mio avviso non sa dosare il proprio talento espressivo, ha bisogno di essere guidato. Fatto sta che qui la sua recitazione tracima, travolgendo lo spettatore, ma in senso negativo, in quella direzione che -tecnicamente- ha un nome ben preciso: "over acting".
Qui, Elio Germano, (non so dire se perchè lasciato libero di esagerare da parte del regista oppure se sollecitato dallo stesso Salvatores), dà vita ad un monumento all'eccesso di recitazione, debordando in un delirio di tic, mossette, occhioni sgranati e movimenti goffi. Insomma, vabbè "caricare" di "segnali" una personaggio afflitto da problemi mentali, ma qui forse si scade nella macchietta di uno schizofrenico/epilettico. Dunque, volendo sintetizzare l'evolversi della vicenda, possiamo dividere il film in tre parti. Prima abbiamo la messa a fuoco dell'ambiente e dei caratteri dei protagonisti, e questa parte si rivela discreta e promettente. Ma poi il film comincia a perdere qualche colpo, fino al drammatico capitolo centrale, troppo lungo e fastidioso nel suo voler insistere su molte cose che succedono "tutto in una notte", al limite dell'incomprensibilità, dato che hanno come sfondo disturbante il buio, un bosco ostile, e soprattutto una pioggia biblica ed incessante. E il finale, come accennavo prima, è all'insegna di un'affettuosa malinconia. Ho visto il film solo ieri e ancora lo sto "metabolizzando", dunque può anche essere che il senso di delusione subisca assestamenti e la sua entità si riduca.
Mentre sto scrivendo queste ultime righe sono già passati due giorni dalla visione e la materia e le immagini si sono sedimentate, lasciando spazio a nuove considerazioni. Non per contraddire il mio giudizio fin qui delineato, ma mi rendo conto che il mio senso di delusione potrebbe avere valenze nascoste e risvolti prima non percepiti. Sì, perchè, e questo va rimarcato, si tratta di un film SCOMODO, che ti comunica anche fastidio ed un senso di agro e di sgradevole. E mi chiedo: ma non sarà che i miei dubbi sono determinati inconsapevolmente da un moto di reazione verso qualcosa di CATTIVO, nei confronti di un mondo e un ambiente verso cui diventa inevitabile provare repulsione? Mah. Forse è un film troppo potente ed estremo nel suo raccontarci sentimenti negativi per poterlo giudicare con sufficiente serenità...Quando si accendono le luci in sala, nonostante il finale a suo modo buonista, la gente ha un'espressione sgomenta. Perchè quel finale che si apre alla speranza non è sufficiente a controbilanciare il buio ostile, la pioggia sferzante, la misoginìa, la xenofobìa, la violenza e il degrado: insomma quegli elementi DISTURBANTI sparsi a piene mani per tutto il film, col risultato di generare nel pubblico profonda inquietudine. Quella stessa che poi, alla fine, ti resta dentro e, come è accaduto a me, diventa difficile rimuovere.
Voto: 6/7

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