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The Beaches of Agnès

Regia di Agnés Varda vedi scheda film

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La recensione su The Beaches of Agnès

di EightAndHalf
7 stelle

Il brioso, malinconico, autoritratto di Agnès Varda si adagia nei luoghi dell’infanzia e della memoria, spinto verso la mise en scène “degli altri”, di quelli che alla Varda piace raccontare, e non diretto all’autocelebrazione o al più infastidente tono autoreferenziale. Narrare la propria storia (tramite parole e immagini, che trovano nel Cinema la loro perfetta comunione) è narrare la storia di tutti coloro che la circondarono, negli anni di una giovinezza mai contemplata con patinata nostalgia, ma con l’ironia di chi non si è mai rassegnato e ha sempre continuato a nutrire in sé la vera giovinezza, quella delle ribellioni, della libertà (artistica, nel caso proprio di Agnès), non certo dei capricci o delle superficialità. La Varda sa scherzare su se stessa, corre avanti e indietro mentre gli specchi che ha sistemato sulle spiagge del passato riflettono la sua immagine minuta, mai inattiva, costantemente in movimento e sempre e comunque parlante, raramente silenziosa (e nei rari casi in cui questo avviene, ella non si rivolge alla cinepresa, e si volta di spalle in segno di silenzioso lutto). Impariamo a conoscere la grandissima regista francese, e lei ci permette di farlo instaurando un diretto rapporto con lo spettatore, guidandolo per mano in un’autobiografia tutto tranne che calligrafica, o permeata del carattere stantìo di una più ovvia cronologica disposizione degli eventi. Seppure il filo della Storia serva alla Varda per tirare le fila dei discorsi (senza che mai venga proposta comunque una morale, o un possibile insegnamento desumibile dalle narrazioni), il percorso di Les plages d’Agnès è un percorso che saltella qua e là, catturando con un pugno il nugolo di mosche che, come dice la stessa Agnès, sono come i ricordi, svolazzano senza traiettorie precise e di volta in volta capitano di fronte agli occhi del presente.

 

 

Potremmo pure dire che la Varda si lascia andare al flusso di coscienza, al gesto spontaneo della riesumazione e dello spolveramento di vecchie memorie, ma tradiremmo e trascureremmo la meticolosa cura con cui la regista ricostruisce i tasselli della propria esistenza, condendola con quell’entusiasmo che sempre l’ha caratterizzata - e che certo non coincide necessariamente con una visione totalmente ottimistica delle cose della vita. Tra spezzoni dei suoi film e aneddoti fulminanti che la vedono in attività con Jean-Luc Godard, Jacques Demy (che fu il secondo uomo della sua vita) e in un certo momento addirittura con Jim Morrison e le movimentazioni dei sixties americani, riusciamo infine ad assimilare l’intero ritratto fedele e dolcissimo di un’intera epoca fatta dei pro e dei contro più fisiologici, ma fondamentalmente dei sogni di un’intera generazione di artisti geniali. Il montaggio, curato dalla stessa Varda, rende Les plages d’Agnès un vero e proprio film (che gioca con il documentario e la finzione), e non un’accozzaglia di materiali di seconda mano, sebbene molti siano filmati d’epoca, soprattutto inediti, del passato di Agnès.

 

 

Accumulando impressioni e offrendo gustosissime chiavi di lettura sulle fonti di ispirazione delle sue opere (soprattutto la pittura, da Picasso fino a Magritte), la Varda imprime su pellicola gli anfratti sdrucciolevoli delle emozioni di un’intera vita, che scivolano, appunto, sulla superficie della memoria, e si catapultano agli occhi dello spettatore come un’ondata di interessantissimi input, protesi all’accumulazione e infine racchiusi in un corpus filmico che, si vede, è figlio, anzi nipote, della Nouvelle Vague, con i suoi continui scarti, i suoi costanti frettolosi passaggi di sequenza in sequenza, le sue sgrammaticate costruzioni di argomenti e di situazioni  (esilarante il tributo a Chris Marker, “censurato” dietro il disegno stilizzato di un grossissimo gatto). Alla fine rimane un ritratto turbolento e affascinante di una caotica matassa di vere emozioni e di vero vissuto, che sa tenere conto contemporaneamente e antifrasticamente della gioia (di vivere) e della malinconia (del “rivivere”).

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