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Atanarjuat

Regia di Zacharias Kunuk vedi scheda film

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Utente rimosso (SillyWalter)

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La recensione su Atanarjuat

di Utente rimosso (SillyWalter)
7 stelle

"Non abbiamo mai saputo cosa fosse o perché fosse accaduto. Il Male arrivò tra noi come la Morte. Semplicemente accadde e noi dovemmo conviverci."

 

 

     Il male è la discordia, la divisione che s'insinua in un campo Inuit dopo il passaggio di un misterioso sciamano venuto dal nord. La storia è tratta da una leggenda del popolo Inuit ambientata in tempi antichi ed ha per teatro la piccola isola di Igloolik ("posto di igloo") nell'arcipelago artico canadese.

 

     Inverno. Il mondo è una bianca distesa piana senza segni fino a dove arriva l'occhio. Solo il campo di igloo spezza il filo dell'orizzonte. Atanarjuat (pronuncia: Atanárgiua) e il fratello Amaqjuaq si ritrovano in urto con Oki e il suo seguito. Oki è figlio di Sauri, il capo della comunità. È malevolo e irridente e il suo carattere non migliora quando la sua bella promessa sposa Atuat e Atanarjuat sviluppano una mutua speciale simpatia. In occasione dell'inaugurazione di uno spazioso igloo per i canti e gli svaghi della comunità la disputa viene risolta con una tradizionale prova di forza in cui a turno un contendente lascia che l'avversario lo colpisca alla tempia con un pugno. Il favorito Oki stramazza a terra e Atuat è di Atanarjuat.

 

 

 

     Primavera. Molto ghiaccio si è sciolto, la terra e l'acqua tornano a farsi vive. Gli igloo han lasciato il campo alle tende di pelle di foca. Atanarjuat e Amaqjuaq vivono sulle rive ciottolose dell'isola insieme alle rispettive mogli e ai genitori. Come ogni primavera la "comunità invernale" si è frammentata. Atuat è incinta e per Atanarjuat è il momento di andare a caccia di caribou. Oltre alla moglie anche il fratello non può seguirlo, il padre lo esorta allora a passare dal campo di Sauri e a prendere con sè sua figlia Puja, sorella di Oki. Atuat non sembra entusiasta. Atanarjuat si ritrova in viaggio con Puja, ragazzina giocherellona e sorridente, e tra una risata, un canto e una notte da scaldare Puja diventa la seconda moglie. Puja viene accettata anche da Atuat ma si rivela sfaticata, non lavora le pelli e non cucina e per di più seduce Amaqjuaq. Scacciata si rifugia in famiglia ma poi torna a chiedere scusa e viene perdonata. Si tratta però solo di una messinscena per aiutare il fratello Oki e la sua banda ad attaccare Atanarjuat nel momento più propizio. Atanarjuat sfuggirà all'attacco gettandosi in un'estenuante corsa completamente nudo sulla superficie ghiacciata del mare, ormai ridotta a un labirinto curvilineo tutto pozze e buche. Si salva grazie alle sue doti di corridore e ad un fortunato incontro, ma dovrà aspettare che i suoi piedi straziati guariscano del tutto e che il mare che ora lo separa da casa torni ad essere una spessa via di ghiaccio...

 

 

 

     Un'epica primordiale che raccoglie in sè elementi eterni delle storie dell'uomo, le faide familiari, l'eroe e le sue prove, la ricostruzione dell'armonia perduta con la natura e le sue forze. Primo film in inuktitut (la lingua Inuit), scritto, diretto e recitato da persone di etnia Inuit nel cuore della loro terra. È un affascinante mondo alieno ripescato dal passato, tormentato e guidato da forze sovrannaturali familiari e palpabili. Un'immersione nella storia e nel mito di un popolo accompagnati dai loro discendenti. Sicuramente un'esperienza difficilmente paragonabile alle docufiction e al cinema di narrazione a cui siamo abituati.  

     Forse...inizialmente potranno forse sembrare evidenti alcune carenze nella recitazione (è poi facile valutare gesti, voci e psicologia di un popolo semisconisciuto?) e forse l'occhio qualche volta sentirebbe il bisogno di aprirsi maggiormente ai grandi paesaggi....forse. Ma di fronte a questa ricchezza storica e antropologica, di fronte alla compattezza e alla coerenza con cui questo ritratto si presenta, al rispetto dei valori, dei volti bruciati e silenziosi, dei tempi e dei caratteri che si plasmano sulle stagioni, di fronte a tutto questo credo che giudicare il film "manuale alla mano" equivalga a non dare il giusto peso a uno splendido lavoro su un patrimonio umano enorme.

      La camera segue volti e gesti da vicino, non azzarda, non forza voli, neanche una volta si concede la contemplazione insistita di scenari naturali, lascia che i tempi siano definiti dagli occhi dei protagonisti, dalla cultura e dalla natura Inuit. E non in senso figurato: da una sceneggiatura che dà forma coerente alla leggenda si è voluto che fossero gli attori (quasi tutti alla prima esperienza) e gli anziani del popolo Inuit ad estrarre i modi, i comportamenti, i linguaggi fisici e verbali più adatti a definire i personaggi. Il regista Zachary Kunuk si è definito più che altro un organizzatore del lavoro, mentre il direttore della fotografia Norman Cohn si è occupato delle riprese senza ricercare altro che il rispetto per ciò che riprendeva. Il film è sicuramente un'opera collettiva che lascia ai protagonisti il compito di raccontarsi. Un approccio onesto e partecipe alla vita e alle storie di un popolo.

     Cohn, americano ma attivo da vent'anni in loco insieme a Kunuk come documentarista e "videomaker", ha parlato di "portare i valori Inuit nel filmmaking.[…]Non ci sono Martin Scorsese tra noi. È un concetto socialmente inappropriato: l'autore non può esistere nella cultura Inuit." Non ci sono vanità, egoismi e personalismi. È anche uno dei temi di questa storia: mettere i propri interessi al di sopra di quelli della comunità equivale a una dannazione e a una sciagura. In una scena iniziale, dopo l'arrivo del "Male", viene ritratto come un comportamento spregevole e "malato" l'atto di dare gli avanzi e le parti meno nutrienti degli animali a chi non ha avuto fortuna nella caccia. Non stiamo neanche parlando di egoismo, basta un altruismo di bassa lega a rendere un Inuit riprovevole. "Questa è una storia con cui gli Inuit educano i propri figli […] è una favola della buonanotte che abbiamo sentito tutti", ricorda Kunuk.

 

 

 

      ATANARJUAT è in realtà un'opera concepita con finalità culturali e politiche, per mantenere vive e dare un peso nello stesso Canada alle tradizioni Inuit, farle conoscere alle giovani generazioni e lasciare un documento importante di una cultura che ha 4000 anni di vita ma che si è sempre affidata solo alla trasmissione orale del proprio sapere. È un rivendicazione del diritto ad essere gli unici a poter raccontare e ritrarre il proprio popolo quando il rischio di perdere le proprie radici si fa sempre più reale (con quest'ottica Kunuk e Cohn lavorano anche su programmi televisivi per gli Inuit). È una battaglia per non farsi soffocare da influenze esterne. Nelle parole di Kunuk: " Quattromila anni di storia orale zittiti da cinquant'anni di preti, scuole e tivvù via cavo."

     L'accuratezza della ricostruzione è stata ovviamente messa in primo piano. Oltre al parere degli anziani sono stati consultati anche gli scritti del 1800 dei primi esploratori europei per poter riprodurre fedelmente oggetti, usi e costumi tradizionali: dalle varie versioni della leggenda di Atanarjuat all'uso di espressioni non più in uso, dal rapporto tra i sessi nei secoli passati ai canti tradizionali e alla ricostruzione di attrezzi (lampade ad olio di foca, slitte fatte con corna di caribou, i vestiti, le armi, i tamburelli, i monili e i talismani). Particolarmente difficile a si è rivelata la ricostruzione degli aspetti religiosi e dei rituali sciamanici, un patrimonio evidentemente ormai sull'orlo dell'estinzione. Quello che si è ottenuto sul versante spirituale è però sufficiente a rendere il rapporto incredibilmente affascinante che gli Inuit hanno con l'ignoto e con i propri morti, un rapporto strettissimo fatto di elementi animistici e dell'eterno ritorno degli spiriti dei propri familiari. E così succede che Atuat, sposa di Atanarjuat, sia chiamata "piccola madre" da un'anziana della comunità perché questa "l'ha riconosciuta subito". E Atuat non è stupita ma domanda invece "com'ero?" E la cosa incredibile è che tutto questo non è leggenda. Lo stesso Kunuk in un'intervista ne ha dato una testimonianza diretta: " Mio padre mi chiama "madre", e non mi dice cosa fare. A volte preferirebbe che fossi io a dirgli cosa fare. Io ho un figlio di 12 anni che ho chiamato come mio fratello e lui mi chiama fratello maggiore, e io chiamo lui fratello minore. E lui a volte mi dice cosa fare, questa è la nostra cultura."

 

     Bella e mimetica la colonna sonora di stampo "indigeno" curata da Chris Crilly. Oltre ai già citati canti tradizionali Inuit sono stati riuniti suoni e strumenti un po' da ogni parte del globo, dai riconoscibili "digeridoo"al "canto gutturale tuvano"(ad opera dell'ensemble russo/mongolo Huun-Huur-Tu) ai cori di voci bulgare, solo per citarne alcuni.

     Tra i molti riconoscimenti ATANARJUAT ha vinto la Camera d'Or al Cannes Film Festival 2001 e 6 Genie Awards (gli Oscar canadesi) nel 2002, tra cui miglior film, regia, sceneggiatura e colonna sonora.

 

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