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Milk

Regia di Gus Van Sant vedi scheda film

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La recensione su Milk

di lussemburgo
6 stelle




Nella difficile arte del biopic, quasi nessun regista riesce a tradurre in immagini interessanti un percorso biografico incasellato nelle tappe della progressiva rivelazione di una personalità storica sino al suo congiungimento con la figura nota. Tra paradigmi simbolici e l’epifania del destino, il film solitamente si smarrisce ad inseguire il luogo comune nella motivazione psicologica, confusa dall’ellisse obbligatoria del tempo che trascorre.

Rinunciando all’ironia degli esordi e alla tentazione della sperimentazione, lasciando di conto la deriva poetica o il falso naturalismo del ritratto intimista, Van Sant si adegua all’artificio della biografia cinematografica e si annulla nella volontà agiografica. Timoroso di recare danno al ritratto tratteggiato, il regista ne segue il percorso limitandosi ad una paratassi anticronologica che potenzia l’aspetto cristologico di una volontà di sacrificio di Harvey Milk che forsennatamente insegue la deliberata provocazione dell’avversario sino a trasformarlo in necessario carnefice che possa immolarlo a simbolo di una più alta e giusta causa.

Giocato sulla dicotomia tra libertà e repressione, sociale o psicologica, espansa al contesto e incarnata dagli opposti antagonisti, il film non riesce a trasmettere che le buone intenzioni del personaggio principale, la giustezza delle sue posizioni e il suo fondamentale contributo all’emancipazione sociale, perdendo però per strada il film e ogni capacità di trascinamento emotivo. Obiettivo nell’evidenziare i lati più inadeguati di Milk (l’incostanza dei sentimenti o un certo grado di opportunismo politico), Van Sant non si concede però la libertà dello stile né la sincerità dell’invenzione, attento alla verosimiglianza introspettiva e iconografica della ricostruzione storica a cui, infine, tutto quasi si riduce.

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