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La terrazza sul lago

Regia di Neil LaBute vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La terrazza sul lago

di degoffro
6 stelle

“Siete fortunati: avete un poliziotto come vicino!”

Il regista Neil LaBute è quanto meno discontinuo. Alterna infatti titoli brillanti (il feroce esordio “Nella società degli uomini”, il gradevole “Betty Love”), altri irritanti (l’insopportabile “Amici & vicini”), altri ancora inutili (il tedioso “Possession” ed il banale “Il prescelto”). Con “La terrazza sul lago” (titolo italiano al solito cretino, visto che Lakeview terrace è un quartiere di Los Angeles) riesce a sorprendere per tre quarti di film, poi butta via quasi tutto il buono fatto vedere in precedenza con il consueto finalone telefonato in cui il cattivo di turno deve per forza soccombere e i buoni prevalere. Peccato perché questa storia di razzismo all’incontrario è sottilmente inquietante e angosciante, universale nel suo esplicito e preoccupato allarmismo. Samuel L. Jackson è minaccioso, mellifluo ed ambiguo nei panni di Abel Turner, poliziotto di colore vedovo, ultra conservatore ed all’apparenza irreprensibile e molto severo (impone ai due figli un regime di vita rigidissimo tanto che la figlia maggiore afferma: “Quello che lui dice si deve fare e se ti metti a discutere dice: Come scusa, sono io la legge!”). Abel è così fermo nelle sue posizioni che non vede di buon occhio l’arrivo della nuova e progressista giovane coppia di vicini (lui bianco lei di colore): “Non gli piace l’idea di noi due insieme, come coppia” sostiene il giovane Chris che peraltro già non è ben accetto al suocero. L’azione di Abel ha uno scopo ben preciso: cacciare i due nuovi arrivati dal quartiere in cui si è autonominato massimo tutore e sorvegliante dell’ordine e della disciplina, approfittando del prestigio della sua posizione e della stima incondizionata dei vicini. All’inizio il suo agire si manifesta in modo quasi banale: le luci di sicurezza notturne che illuminano la stanza da letto dei vicini, piccole polemiche sui mozziconi di sigaretta gettati nel suo giardino, osservazioni infastidite sugli “esercizi di nuoto sincronizzato” - definizione esilarante- che i due giovani sposini fanno in piscina, gomme dell’auto tagliate, sabotaggio all’aria condizionata, frecciate velenose (sorprendendo Chris una sera, prima di rientrare in casa, mentre ascolta musica rap, Abel gli dice: “Puoi ascoltare quella roba tutta la notte ma quando ti svegli alla mattina sei sempre un bianco!”). Poi il suo comportamento provocatorio si fa sempre più arrogante, ossessivo ed invadente, ed Abel, esaurito anche sul lavoro dove viene progressivamente emarginato per i suoi modi fin troppo rozzi e brutali ed obbligato ad un periodo di forzato riposo, finisce per perdere completamente il controllo della situazione proprio mentre un troppo simbolico fuoco che incendia le colline circostanti Los Angeles si avvicina pericolosamente alle case. Labute gestisce con efficacia il serrato confronto psicologico tra i tre protagonisti (si perde però in alcune discussioni familiari tra i due giovani coniugi a dire il vero stantie ed ovvie), mantiene viva la tensione nonostante il soggetto tutt’altro che nuovo (il titolo più immediato che viene in mente è “Abuso di potere” di Kaplan, a sua volta incentrato su un vicino poliziotto fuori di testa), tocca tematiche politiche e sociali scottanti osservandole da una prospettiva piuttosto inedita ed intrigante, offre a tratti un lucido e disorientante spaccato di una comunità americana (ma non solo) sempre sull’orlo dell’esplosione così come è animata da tensioni, odi, contraddizioni e differenze, azzecca un paio di sequenze parecchio gustose (su tutte la festa a casa degli sposini con il confronto tra Abel e gli amici dei suoi vicini e lo spogliarello di Abel in piscina). Quando però deve tirare le fila del discorso si fa ridondante, convenzionale, approssimativo (il modo in cui Chris, attraverso il cellulare, scopre le responsabilità di Abel nell’aggressione alla moglie è oltre modo infantile e…telefonato, oltre che incongruente con il personaggio di Abel, tutt’altro che uno sprovveduto), superficiale (la sequenza del festino notturno a casa di Abel con tanto di spogliarelliste che coinvolgono il riluttante Chris, il tutto registrato e fatto avere alla mogliettina il giorno successivo su cd si poteva risparmiare per quanto è sciocca, così come è risibile e patetico il retroscena coniugale sul passato di Abel a spiegare e motivare il suo comportamento di disprezzo, a volte il non detto funziona meglio), culminando in una conclusione consolatoria indigesta, stanca e fiacchissima. Se poi la prova di Jackson è considerevole ma a lungo andare a forte rischio maniera, le sue due vittime sono invece piuttosto anonime e scolorite, anche perché i relativi personaggi non hanno lo stesso spessore del protagonista. Rimane la bellezza dirompente di Kerry Washington. Si rivede volentieri Robert Pine mitico commissario Getraer della serie cult “Chips”. Scritto da David Loughery (nel suo curriculum action come “Money train” e “Passenger 57” o fantascienza come “Dreamscape” e “Star Trek V – L’ultima frontiera”) e Howard Korder. Prodotto da Will Smith.

Voto: 6

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