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Un giorno perfetto

Regia di Ferzan Özpetek vedi scheda film

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La recensione su Un giorno perfetto

di spopola
4 stelle

Molti i cambiamenti rispetto al libro (non è la fedeltà assoluta quella che si cerca) ma nel contesto, qui sembrano più dettati da un opportunismo furbetto che da una effettiva necessità narrativa, perchè all’atto pratico anzichè arricchire, indeboliscono quella che rimane la struttura portante dell’opera (la storia e la tragedia di una famiglia).

Il problema principale di questo film credo che sia rappresentato proprio dalla scrittura inadeguata (nonostante che ci sia anche Petraglia fra i responsabili, un nome che avrebbe invece dovuto costituire una garanzia, vista la sua consacrata professionalità). La cosa è ancora più sorprendente se si pensa che dietro c’è una “fatica letteraria” non straordinaria, ma di un certo spessore, che avrebbe dovuto per lo meno facilitare il compito proprio sotto questo profilo. E invece è prima di tutto qui che casca l’asino, con un andamento rapsodico decisamente poco convincente - anche perchè molti dei troppi personaggi disegnati (mi verrebbe da dire abbozzati) mancano di spessore e di storia, rappresentano quasi un contorno ornativo dentro al quale ci si è dimenticati di mettere la sostanza, di “definire il carattere” – e troppi dialoghi così improbabili e “scontati” da risultare quasi fumettistici (o peggio). Molte le variazioni e i cambiamenti rispetto al libro (non è la “fedeltà assoluta” quella che si cerca) ma nel contesto, qui sembrano più dettati dall’opportunismo “furbetto” che da una effettiva necessità narrativa, perchè all’atto pratico anzichè arricchire, indeboliscono quella che rimane la struttura portante dell’opera (la storia e la tragedia di una famiglia). Abbandonati i temi a lui congeniali, il regista sembra solo in apparenza voler calcare strade diverse: il modus operandi rimane analogo, solo che qui il puzzle delle storie e degli “schizzi” (molte cose non si possono che definire così) è discontinuo e sbilanciato, risulta spesso inessenziale, diluisce il pathos finendo per far sbandare la tragedia verso una semplice e melodrammatica rappresentazione di un terrificante “fatto di cronaca” con una procedura dispersiva che annacqua spesso il risultato, ottenendo l’effeto inverso di quello desiderato. Troppi i “personaggi” (che “ci azzecca” la Finocchiaro?”, direbbe Di Pietro; puerilmente “scontata” la parte relativa alla storia di Aris e Maja, irrisolto il personaggio – se si può definire così - dell’onorevole, nostante l’encomiabile impegno di Binasco) alcuni con la pretesa di dover acquisire il peso di simbologie un pò usurate delle quali proprio non se ne avvertiva il bisogno (ancora la Finocchiaro purtroppo, e certi “inessenziali “camei”). Visto che di lavoro su commissione si trattava (si avverte la mancanza dell’ispirazione diretta che nelle opere più riuscite ed acclamate del regista – ma anche in “Cuore Sacro” – riusciva a compensare le “cadute” che sempre sono state presenti, passandole in sottotraccia, ma che questa volta acquisiscono invece il peso del disastro) Ozpeteck avrebbe dovuto forse avere il coraggio di essere più stringato ed essenziale, magari concentrandosi esclusivamente (Melania Mazzucco permettendo) sulla storia di Emma e Antonio, oltre che dei loro figli (forse la sola che davvero “funziona” un poco e che riesce a creare una qualche empatia con lo spettatore), lasciando perdere molti degli “orpelli” disseminati intorno. Peccato!!! Una scivolata pericolosa che fa supporre come sia molto facile perdersi, quando si percorrono strade non del tutto congeniali, che non possono essere “addomesticate” per riportarle “alla maniera di” (tracce delle clamorose scivolate che rendono insostenibili alcuni tratti, si ritrovano anche nelle sue precedenti opere dove per lo meno c’era qualcosa da “raccontare” che urgeva dentro e si sentiva, solo che qui “pretenderebbero” forse con troppa presunzione, di diventare “stile”, e manca un pò dis toffa per farlo. Insomma, gli ingredienti ci sono tutti solo non quagliano come dovrebbero (il contesto pretendeva anche una “drammaticità della visione” più scarna e meno arzigogolata, più pudica e meno platealmente esibita nei sui aspetti devastanti per risultare davvero efficacemente coinvolgnete, per far partecipare il cuore dello spettatore, e si sa che se si mette in moto l’emotività, ci si lascia travolgere, così che anche i difetti passano in sott’ordine). E forse era proprio questo che il regista sperava di ottenere con quel suo “aggiungere” anzichè “prosciugare”. Qui poi nemmeno il supporto musicale funziona, anzi appesantisce a sua volta, diventa quasi pleonastico, eppure è ancora tutto “come da copione”, ripetitibilmente conforme al clichè. Insomma per concludere, poco meno di una delusione, e a nulla può la bravura ostentata di quasi tutti gli interpreti per portare felicemente a riva l’imbarcazione, visti i marosi che ne hanno contrastato il viaggio.

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