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Martyrs

Regia di Pascal Laugier vedi scheda film

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La recensione su Martyrs

di ROTOTOM
8 stelle

Pascal Laugier: i diafani spettri di Saint Ange acquistano il sangue e la carne martoriata dei martiri in questo film possente e crudo, spietato e freddo nel quale si urla e si muore in francese. La discesa negli inferi degli autori francesi di cinema horror ha trovato nuova ragion d’essere del delirante presente che l’essere umano sta vivendo e del quale proprio il cinema di genere è testimone. Catarsi della violenza, della sistematica prevaricazione, della tortura psicologica e fisica di cui le cronache si riempiono come bacini di dolore e nel quale il cinema horror, felice e crudele, si inzuppa. Il filone horror torture porn, fiore malato di cui Martyrs è un ulteriore petalo strappato e lasciato al vento in un gioco del m’ama non m’ama che non prevede mai la prima opzione, viene così costantemente aggiornato verso un inferno che a differenza degli horror classici non è mai iconografico, non è un altroquando ficcato in un’altra dimensione, non esiste legge del contrappasso poiché legge non c’è. L’inferno è al piano di sotto, nella stanza di fianco. L’inferno si è vomitato in superficie infettando il borgo di campagna, la borghesia della brava gente, l’intera società. Dopo le personalità multiple di Alta Tensione di Alexandre Aja ; il bucolico torture porn Calvaire di Chris du Weltz del quale uscirà a presto il nuovo lavoro Vinyan; l’epocale Frontier(s) di Xavier Gens che riapre “quella porta” che sembrava essersi richiusa a causa dello scempio degli ultimi remake; l’incredibile, visivamente insostenibile e viscerale A’ L’interieur di Alexandre Bustillo & Julien Maury; Martyrs aggiorna con una variazione sul tema l’epica del dolore elevandolo a strumento di conoscenza, completamente privo di empatia o pietà per l’essere umano mette in scena un martirio tanto malato quanto lucido e follemente plausibile, esteticamente raffinato e privo di pudore alcuno nel mostrare le aberrazioni compiute sulle vittime. La caratteristica del sangue che assurge a protagonista assoluto del film è comune anche agli altri film elencati sopra, l’idea che esso sgorghi da dentro il corpo e si mostri in tutta la sua primitiva potenza, il senso del corpo che si indebolisce e muore dissanguato, è la manifestazione fisica dell’origine della violenza che il film stesso mostra. Violenza che nasconde un sottotesto politico ben definito: è lo sporcare cosciente, imbrattare reazionario, violare gli status quo lindi e puliti della società civile. La violenza non è esterna alla società che è chiamata a difendersi, è già dentro, endemica, il suo manifestarsi indebolisce progressivamente la società-corpo che si piega sulle ginocchia in attesa del colpo di grazia. Non a caso le ambientazioni del nuovo corso horror torture porn francese sono interni, ostelli, case borghesi, laboratori lindi e puliti. Non c’è più distinzione tra bene e male, c’è solo sovrapposizione, non c’è più la medaglia con le due facce, un tao con le parti bianche e nere. Il male è consapevole e inevitabile, il corpo è macchina da smontare per i più assurdi propositi, il dolore e la sofferenza sono semplicemente peculiarità dell’essere umano da estrarre, ancora una volta, dall’interno, motore delle pulsioni estreme dei carnefici. A differenza dei vari Saw, meccanicamente accattivanti come un Meccano per bambini deviati ma privo di qualsivoglia profondità; o Hostel, ironico e di facile interpretazione sulla mercificazione dei corpi con una spruzzata di divertissement all’acqua di colonia politicamente scorretta, Martyrs e i suoi fratelli sono totalmente privi di ironia, psicologicamente intensi e plausibili nella loro follia, immersi nella contemporaneità delle news delle banlieu, agganciati all’agghiacciante ritorno di fiamma neonazista, spudoratamente irriverenti nei confronti dello spettatore che è sfidato ad assistere alla caduta dell’inviolabile, colpito basso in ciò che i tabù conservano come intimo, inducendo a piegare la testa e a volgere lo sguardo verso un altrove migliore. L’uomo ha perso umanità diventando bestia. Successivamente anche questa ultima stilla di natura seppur sub umana è andata smarrendosi prosciugando le pulsioni in una meccanica della prevaricazione tipica della società disumanizzata dominata dalla tecnologia, dalla mancanza di interazione e comunicazione, dall’isolamento psicologico di internet, dalla perdita di empatia e conoscenza del corpo. La percezione dell’altro è la stessa di un avatar, alter ego virtuale al quale si può ordinare di morire senza alcun rimorso. Martyrs va oltre, il dolore non è un appagamento di una mente folle fine a se stesso ma è un atto di speranza: tramite la sofferenza una società di gente perbene cerca la scintilla negli occhi dei Martiri, la prova dell’esistenza dell’Aldilà attraverso la Passione delle vittime nell’Aldiquà. Deriva filosofico-religiosa che ancor di più contrasta con la glaciale prigionia senza speranza della testimone, incatenata e picchiata, scuoiata e lasciata morire. Nulla a che vedere con i bravi borghesi di Society di Brian Yuzna che si cibavano letteralmente dei loro “ospiti” proletari in un’insaziabile vuoto di potere e controllo. Il corpo in Martyrs è solo un contenitore, l’identità non ha più nessuna rilevanza, lo status sociale meno di zero. Il dolore è un atto di pietà attraverso il quale l’uomo cerca di dare un senso nuovo al sé smarrito. Lucie, fuggita dalla prigionia e tormentata da un mostro, figlio generato da una mente sconvolta, si vendica dei suoi aguzzini e il primo tempo del film è un aggiornamento dell' iconografia "rape & revenge" con grande spargimento di liquido ematico. Ma è un prologo, solo un incipit che apre al gradino superiore della consapevolezza, un buio nella mente divenuto eclisse totale e perenne, sprofondando in qualcosa che neppure i romantici Supplizianti del Lament Configuration Box o Scatola di Lemarchand di Hellraiser possono sostenere. Ormai il malefico cubo di Pinhead si è fatto casa, quartiere, stato, ogni incastro di ruoli di esseri umani produce un dolore nuovo e diverso e il male non è più banale, è utile alla brava gente per spostare ancora più in là il limite del possesso della conoscenza. Nel secondo tempo Laugier interrompe la narrazione, quello che doveva succedere è successo, quello che si doveva dire si è detto. Allora parlano i corpi e il loro afflosciarsi sotto i colpi, l’eco delle catene, il rimbombo metallico dei calci, le urla sempre più flebili, i sospiri spezzati. Non una parola. Solo un indagare distaccato sulle ferite, un movimento satellitare intorno al pianeta umano morente.
La cosa bizzarra è che Dio esiste.

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