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Il papà di Giovanna

Regia di Pupi Avati vedi scheda film

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La recensione su Il papà di Giovanna

di giancarlo visitilli
8 stelle

Il regista che continua ad avere il cuore altrove, mai stanco di raccontare la nostalgia dei ricordi e la rievocazione di foto ormai sbiadite, che naturalmente ritraggono la Bologna dei primi decenni del Novecento, ora ci riprova con una storia molto emozionante, quella di Il papà di Giovanna.
Mai, come in questi ultimi anni, anche il cinema mondiale ha posto l’attenzione sui padri, in una società orfana e privata di punti di riferimento. E’ questo il senso che fin dal titolo è rievocato.
Ambientato nella Bologna del 1938, il racconto si sviluppa attraverso Michele Casali, un insegnante di disegno in un liceo, che ha una figlia unica, Giovanna, con la quale ha un rapporto profondissimo. Giovanna ha una personalità difficile, la sua introversione e la chiusura nelle quattro mura del suo mondo, la conducono a compiere il fatidico gesto nei confronti di una sua compagna di classe, di cui si ingelosisce per le avances di questa nei confronti di un suo presunto fidanzato.
Da tutto ciò Avati prende le mosse per raccontare la frattura, la disgregazione e la sofferenza a causa di un equilibrio che viene a mancare per sempre. La scelta di una madre, l’attenzione di un padre, la disperazione di una figlia. Il tutto raccontato con un esacerbamento estremo dei sentimenti: si tratta di un rapporto d’amore, di quelli in cui esistono solo un padre e una figlia, e da cui è assolutamente esclusa, o addirittura estraniata, la madre. E’ straniante anche l’originalità storica scelta dal regista bolognese. Un’Italia addentata dal Duce e la sua successiva caduta, e quindi la guerra e la liberazione. Peccato che proprio nel racconto dei partigiani Avati pecchi molto per la sbrigatività con cui racconta il loro modo di operare e fare giustizia. In un clima nazional-revisonista come quello in cui oggi noi italiani viviamo, sarebbe stato utile, oltre che onorabile, far vedere anche sul grande schermo l’opera di quegli uomini e quelle donne per i quali conviene spendere il nome di eroi.
L’intensità interpretativa di Silvio Orlando è stata giustamente premiata con la Coppa Volpi per la “migliore interpretazione di attore protagonista” alla 65ma Mostra del Cinema di Venezia. Pur non avendo ricevuto premi materiali, anche l’eccellente giovane attrice Alba Rohrwacher s’è distinta per la sua capacità di bucare lo schermo, merito di un volto assolutamente atipico, capace di rimandare a qualcuno di quelli scelti dai maestri della pittura come Piero Della Francesca. Avati, anche con quest’opera, prosegue la sua operazione di recupero dei non-attori: l’interpretazione di Ezio Greggio, è stata una piacevole sorpresa, la stessa che era toccata nel film precedente a Katia Ricciarelli. Ma ne Il papà di Giovanna c’è anche una vecchia star del cinema italiano, Serena Grandi; meno riuscita l’interpretazione di Francesca Neri, il cui pianto, in alcune scene del film, diventa l’emblema di una recitazione stereotipata e cucitagli indosso e dalla quale non riesce ancora a distaccarsi. Interessanti le note del fido amico di Avati, Riz Ortolani, capace di armonizzare i colori seppia e l’intimismo dei personaggi, utilizzando le fisarmoniche e le corde degli archi, capaci di smuovere le corde di sentimenti, paterni-materni-figliali, oggi più che mai in disuso.
Giancarlo Visitilli

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