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Denti

Regia di Mitchell Lichtenstein vedi scheda film

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La recensione su Denti

di ROTOTOM
8 stelle


L’ipocrisia ha i denti e quando entra in contatto con la verità, morde. Dawn è americana, adolescente, pura. Vive con padre madre e fratellastro iroso in una ridente villetta posta a ridosso di una centrale nucleare. Dawn è socialmente impegnata a far si che gli adolescenti sopprimano il loro naturale bisogno di sfogare le pulsioni sessuali in nome di una non ben identificata ideologia di preservazione del “dono”. Il “dono” è un eufemismo, l’ennesima variazione sul tema pruriginoso del riempirsi la bocca di sostantivi sconvenienti. Il “dono” è la vagina e/o il pene, a seconda dei casi. Il suo virginale atteggiarsi e l’ambizione di assurgere ad uno status quasi divino nel suo reiterato preservarsi, entra pericolosamente in crisi quando un bel giovine moro, dotato, sano, le sposta il baricentro pelvico al di fuori della zona di sicurezza fino a farla cadere.

Peccato che la purezza, quel sentirsi diversa, sia causata da una bizzarra anomalia posta all’interno del suo corpo: la vagina dentata. Mitchell Lichstentein figlio del più famoso Roy, magnifico artista Pop degli anni 60, imbastisce una commedia nera e intelligente sulla paura principe dell’uomo, la castrazione. Timore insito nell’affrontare la caverna, il suo entrarci e abbandonarsi ad essa, atto che sancisce il passaggio da adolescente a uomo. L’eroe. Così è altrettanto per la donna, il suo schiudersi e accogliere il maschio, rappresenta il passaggio dell’età puberale all’età adulta. I denti della vagina di Dawn sono la calcificazione di una morale distorta, uno stato emotivo condizionato da una penosa dissociazione mente-corpo quali sono i confusi adolescenti odierni. Sono la paura che trasforma in ipocrisia il timore della crescita, rimandando a una giustificazione moralista e di facciata la scoperta del proprio corpo e di quello del compagno. Adolescenti compressi e complessati, soli, bombe inesplose in attesa dell’innesco. Sospeso tra American Pie e Juno con venature horror e un clima surreale alla Donnie Darko, Denti riprende una leggenda che popola tutte le culture dall’avvento dell’uomo in poi, archetipo mitologico assurto a postulato psicologico insito nel limbo delle paure ancestrali nella delicata sfera della sessualità. Dawn cresce, cerca l’uomo, l’eroe che vinca il timore della caverna ma reprime questa sua necessità, dominata dall’orrore e quindi trancia. Mastica e sputa. Amputa. Punisce. Denti è la materializzazione dell’enorme senso di colpa che gli adolescenti si portano addosso, colpe e paure trasmesse da una società-padrona che non può tollerare la perdita di controllo sulla massa che il libero arbitro delle pulsioni sessuali comporta. La libertà del corpo è la libertà dell’individuo, la consapevolezza del sé, quindi ingestibile. Non a caso l’amministrazione Repubblicana di Bush, nella realtà, spende milioni di dollari in campagne per promuovere la castità come valore indissolubile e come unica via alla salvezza. Salvezza spirituale e fisica, instillando la paura, goccia a goccia come un veleno dosato non per uccidere ma per rendere inoffensivi. Divieti e ignoranza indotte a sostituire conoscenza e educazione che producono tensione e violenza. Paure che nel film prendono fisicamente forma nella vagina dentata della protagonista, violenza che si manifesta nel tentato stupro del suo ragazzo che non riesce a dominare i suoi istinti ed esplode. Seppur il tema sia profondo e discettabile di numerose considerazioni, il film è godibilissimo e divertente: Mitchell Lichstentein nella sua opera anarchica e cattivella, dissemina le scene di riferimenti psicologici, metafore visive che compongono il quadro surreale in cui Dawn si muove (la caverna entro la quale Dawn si lascia andare; l’eroe che per un attimo riesce a penetrarla; il cane del fratellastro che si chiama Mamma e che divora il pene del padrone tranciato dalla Vagina Dentata e risolve in un amen il complesso di Edipo del ragazzo), donandole quello spessore intellettuale che si nasconde dietro la patina di (ambiguo) teenager movie. Non c’è alcuna retorica o esacerbazione, nessuna sovrascrittura , nessun sovrabbondare di effetti splatter. E’ un film asciutto ed essenziale, ben scritto e ben diretto. E’ un delicato equilibrio di centrali nucleari e censure di organi genitali su libri di scuola; peni recisi e genitori sessualmente liberi orgogliosi si, della scelta di enfatica ed ideologica castità della loro amata figlia ma nostalgici di una loro giovinezza un po’ più “selvaggia”; voti di illibatezza a perdere, vibratori anulari e orgasmi liberatori. E’ una storia semplice dopo tutto, in cui una ragazzina si rende conto del potere che nasconde in mezzo alle gambe e impara ad usarlo liberandosi dalla chimera di purezza che ne aveva offuscato la ragione fino alla bizzarra scoperta che le cambia la vita, impara ad essere donna, amante e vendicatrice. Illuminante la scena final nella quale la bravissima Jess Weixler che interpreta Dawn, alternando negli occhioni liquidi sia il cieco sbigottimento mistico della ragazzina virginale che la dura e dolorosa presa di coscienza della sua diversità, si trasforma in una virago ambigua e letale. La trasformazione è completa. Auguri e figli maschi.

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