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Il giardino di limoni

Regia di Eran Riklis vedi scheda film

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La recensione su Il giardino di limoni

di OGM
8 stelle

Le grandi questioni politiche diventano ridicole e assurdamente crudeli quando vengono ridotte alla scala della gente comune. Agli occhi della povera Salma Zidane, il confine tra Israele e Palestina è soltanto  il recinto che delimita il suo limoneto, separandolo dalla casa dei vicini.  Per lei, che vive al di qua,  coltivando le piante e preparando succhi, quegli alberi carichi di frutti sono il tesoro di famiglia: un’eredità di amore e sudore lasciatale da padre, e che costituisce da anni la sua principale fonte di sostentamento. Di contro, per chi sta dall’altra parte, quella macchia verdeggiante è un potenziale nascondiglio di terroristi, collocato, per di più, a ridosso della residenza di un ministro. La moglie di quest’ultimo e la signora Zidane potrebbero chiacchierare e porgersi la mano, attraverso il graticcio che divide i loro giardini, ma una superiore esigenza di sicurezza nazionale vuole che al suo posto si costruisca un alto muro di cemento, e che il terreno intorno venga sgomberato, eliminando cespugli, tronchi e fronde. La paura distorce enormemente le proporzioni, proiettando  ovunque la sua ombra, che ingigantisce cose e persone e le trasforma in figure mostruose. La distanza non fa che amplificare questo aberrante effetto ottico, che svanirebbe nel momento in cui gli individui si avvicinassero l’uno all’altro fino a condividere la stessa prospettiva. Invece, in questa vicenda, allo sguardo attento e premuroso della donna, china sui rami e sulle radici, corrisponde la vista ampia ed indistinta che un soldato distratto coglie dalla cima di una torre di sorveglianza; e al delicato bisbiglio dell’umanità risponde,  protervo ed impudente, il tuono della guerra. In questa vertenza, la ragion di stato è il comodo pretesto che esime il più forte dall’onere di cercare di comunicare col più debole, e sforzarsi di capire la sua lingua, che parla della sua storia personale e della condizione del suo popolo. In questo modo si annienta, a priori, l’unica arma di cui disponga il dolore, ossia la disperata volontà di farsi ascoltare, e di innalzarsi a grido universale. La voce che la prepotenza teme più di ogni altra è quella della sofferenza dell’anima: questa è, infatti, un irresistibile richiamo alla mitezza e all’unità, capace di infrangere tutte le barriere. E’ l’energia morale che porta un vedovo ad allevare una bambina orfana come se fosse sangue del suo sangue, e che attira, l’uno verso l’altra, un uomo trentenne ed una donna di mezz’età, accomunati dalla solitudine e dalla stessa sete di giustizia.  Il giardino di limoni non ci racconta, semplicemente, un emblematico episodio del conflitto mediorientale, bensì coglie, nell’intolleranza tra gli abitanti della stessa terra, una metafora del vero peccato originale di noi figli di Adamo:  il rifiuto di voler vedere, nell’altro, anziché un estraneo da tener lontano, il prossimo che, con la sua diversità, ci aiuta (e ci sfida) a ridefinire ed arricchire il nostro io.

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